Una delle questioni più controverse
di Giovanni Ravani
Una delle questioni più controverse, dibattuta fra le protochiese cristiane del terzo e quarto secolo D.C. fu quella sul libero arbitrio.
Proprio a quell’epoca, un grande dottore della chiesa, esegeta, nonchè ex maestro in eloquenza e potente avvocato dei fori romani, probabilmente risolse per primo la complicata questione. Nonostante ciò, occorsero ancora dei secoli prima che le sue soluzioni fossero completamente recepite dal clero, finalmente unificato in un sol movimento. É quasi inutile ricordare che questo grande personaggio del passato fù Aurelio Agostino di Tagaste, detto anche l’Ipponense o più semplicemente S. Agostino. Il quale, dopo importanti ricerche in campo teo-filosofico, dedusse dalle scritture monoteiste del tempo, che il vero significato del termine libero arbitrio era un pò diverso da ciò che fino ad allora si era creduto.
Per comprendere appieno quale fosse stata l’entità, e soprattutto il reale furore con cui si evolse quella diatriba è necessario considerare due fattori storici:
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Fra il trecento ed il quattrocento D.C. la chiesa cristiana era frammentata in molteplici e differenti sette. Accanto ai Cristiani cattolici coesistevano movimenti come i pelagiani, i manichei, gli gnostici, i donatisti etc, che si diversificavano per nome e per dogmi interni. Alcune di queste fazioni, ad es. i donatisti, erano addirittura diventate violente, specie nei confronti dei confratelli cristiani ma di fede diversa. Quindi arrivavano a compiere veri e propri massacri e stragi cittadine.
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S. Agostino in quello stesso periodo si era appena distaccato dalla setta dei manichei e dopo tanto esitare, come desiderava sua madre Monica, era entrato a far parte dei cattolici. Da quella nuova posizione iniziò letteralmente a ridurre in pezzi tutte le altre consorelle sette cristiane. Il suo strumento fù l’eloquenza e la scrittura: vale a dire dibattiti pubblici, nei quali demoliva gli avversari a colpi di logica e retorica, e decine di trattati autografi meticolosamente diffusi sul territorio imperiale. La potente azione di Agostino si esplicò anche in futuro, soprattutto e grazie all’imponente mole di scritti che lasciò ai posteri.
L’ex avvocato romano divenne in breve il caposaldo dei cattolici contro le altre sette e riportò vittorie in quasi tutte le dispute pubbliche e non. Nel campo di studio delle scritture fù al di sopra di ogni altro ricercatore del tempo, ma in uno specifico settore, quello sul libero arbitrio, il suo successo non fù del tutto acclarato, e così fù anche nei secoli a venire. Agostino sosteneva infatti, che il libero arbitrio fosse strettamente legato alla grazia divina. Questo per lui significava che l’uomo aveva libero arbitrio in un’unica direzione, ovvero quella che volge al male. Sarebbe prolisso ora, chiarire cosa il filosofo intendesse per bene e per male. Ad ogni modo basti sapere che il bene è tutto ciò che segue l’ordine secondo il quale Dio ha disposto la creazione, mentre il male è la tendenza opposta. In quale modo dunque, Agostino giunse alla sua deduzione circa la libertà dell’azione umana?
Vi arrivò facendo alcune considerazioni sulla natura divina. Infatti, grazie all’intenso studio della materia teologica, comprese che Dio è il solo ed unico creatore di ogni cosa in tutto l’infinito e nell’eternità, ed è il solo che abbia attribuito alla creazione infinita il suo proprio e preciso ordine. Se tutto ciò è bene e se ciò è infinito ed eterno, come può l’uomo fare il bene? Si domandò Agostino a mille e seicento anni da noi. Il bene in base a queste riflessioni lo ha già fatto Dio. E inoltre: se la creazione è interamente stata allestita dall’Onnipotente, anche nel suo andamento temporale, come può l’uomo averla influenzata con la sua libera azione? Risulta ovvio che se l’uomo, con la libertà concessagli, avesse modificato la creazione, sarebbe infondato il dogma secondo il quale Dio regola ovunque in ogni istante ogni azione fino all’infinito. Dunque per Agostino Dio è controllore di tutto, anche delle azioni umane, e se l’uomo ha fatto qualcosa di giusto all’interno della creazione, egli lo deve solo ed esclusivamente alla grazia concessagli dal proprio signore. Secondo Agostino l’uomo è in grado autonomamente, ossia secondo libero arbitrio, di compiere solamente il male, vale a dire che è in grado di non accettare la grazia concessagli in aiuto e di conseguenza può sovvertire l’ordine divino. Quindi, dato che Dio crea dal nulla, l’uomo per sua volontà può solo tornare al nulla, ovvero sovvertire la creazione: tutto il resto è grazia divina. Ma il santo si spinse oltre, e fù questo il nocciolo delle tante reticenze ad accogliere la sua idea. Agostino procedette genialmente fino a giungere al limite del paradossale, e affermò che in ultima analisi, tutto ciò che è compiuto dall’uomo, in realtà è voluto da Dio, il quale si riserva o meno di concedere la grazia. Pertanto, anche il male compiuto dai malvagi è in fondo voluto dal supremo, proprio per sua mancata volonta a dare la grazia. É ovvio che alla luce di queste riflessioni il libero arbitrio sembrò dover scomparire, e questo in sintesi è stato il motivo dell’insorgere delle forti contese filologiche contro Agostino, da parte di alcuni esponenti della cristianità, contemporanei e posteriori alla sua epoca. Ancora oggi c’è chi, non comprendendo, continua ad ostinarsi a discuterne dette questioni, persino all’interno della chiesa cattolica.
All’interno di tutto questo discorso, è oggi possibile inserire un elemento nuovo e chiarificatore, che ci arriva in aiuto dalla moderna teoria della relatività di Einstein. Se infatti il paradosso associato alle parole di Agostino, secondo il quale esiste il libero arbitrio e parallelamente risulta altrettanto valida la nota massima che testualmente cita: “non c’è foglia che si muova che Dio non voglia” (massima presa a prestito dai testi sacri); ebbene, se detto paradosso è tale ma viene risolto da S. Tommaso, il quale adduce che comunque l’Eterno non si trova ad essere nel tempo e dunque conosce ogni gesto della storia perchè osserva da una posizione privilegiata (al di fuori del tempo), ebbene a tutto ciò oggi può essere aggiunto un avallo donato dalla teoria della relatività, secondo la quale esistono più dimensioni temporali e addirittura il tempo può essere annullato. Vorrei solo aggiungere, di mio pugno, che per chiarificare meglio questa situazione si può fare il classico esempio della pellicola cinematografica. Immaginiamo appunto che tutta la nostra vita sia come un film arrotolato in una pellicola, e che Dio sia il proprietario nonchè l’artefice della medesima. Ora, noi uomini ne saremmo i personaggi e ci muoveremmo secondo ciò che nella pellicola è previsto. Per consentire ai personaggi di avere il libero arbitrio, Dio avrebbe però dovuto stabilire con loro un patto, antecedente l’inizio della proiezione del film. Quindi i personaggi avrebbero dovuto accettarlo. Ma come si configura in sintesi questo patto, questa alleanza, mi domando.
Sulla base dei miei pregressi studi si configura nella maniera per la quale noi esseri umani siamo stati creati ad immagine e somiglianza del Supremo e pertanto siamo anche noi degli dei, anche se minori. (Si faccia riferimento alla teoria degli infiniti di Cantor.) Tutto ciò è confermato in molti testi delle discipline filosofiche orientali e sicuramente pare esserlo anche in alcuni passaggi dei Vangeli. Da qui il desiderio, tutto umano di vivere, e la gioia di esistere che in fondo non è altro che spirito, che poi è amore. Ma torniamo alle controversie e al dibattito sul libero arbitrio!
Oggi come oggi, i più forti detrattori del pensiero agostiniano si annoverano fra le file degli studiosi atei, ed in maniera particolare fra i darwiniani convinti. Questa gente, che ha fatto del darwinismo il proprio vessillo contro la spiritualità e contro ogni qualsivoglia oggetto che sfugga al determinismo scientifico, considera frutto della fantasia ogni questione attinente a Dio, allo spirito e all’anima umana. Essi sostengono apertamente che il libero arbitrio non esiste affatto e che sia per l’uomo che per il più comune animale, ogni decisione presa è dettata da una contingenza specifica di necessità psico-bio-fisiche.
Per questi “pseudo intellettuali” gli stessi sentimenti, l’arte, la fantasia, la creatività, sono tutte manifestazioni da ricondurre a bisogni neuro-fisiologici o al caso; così come rientra nelle suddette categorie ogni altra azione di scelta, persino la più insensata! Dunque per costoro la mente umana, il suo spirito, la sua vitalità, non sarebbero nè più nè meno che la risultanza del funzionamento di una macchina biologica, in pratica un computer, seppur molto sofisticato. Il baluardo di questi, diciamolo pure, “palloni gonfiati” che negano anima e spirito e immaginano che dopo la morte non vi sia più nulla, come già detto è il darwinismo, secondo il quale ogni essere vivente, uomo compreso, ogni singolo atomo ed elettrone in tutto l’universo, non sarebbero altro che organizzazioni di elementi primitivi nate per associazioni casuali nel corso del tempo e obbedienti a leggi fisiche che però nemmeno loro stessi, pseudo scienziati, conoscono appieno. Su questi argomenti ci sarebbe molto da discutere e molte evidenze potrebbero essere riportate all’uopo di dissacrare questa assurda teoria evoluzionistica (Si esaminino le scoperte in fisica quantistica.) che per quanto valida intrenamente al proprio dominio, sembra oggi sempre meno applicabile a livello universale come invece vorrebbero i materialisti scellerati.
A tal proposito si è discusso nel mese di novembre 2012, in una serie di interessanti conferenze tenute da alcuni ricercatori dell’ Istituto Nazionale di Astrofisica di Milano e Merate. Sono stati tre incontri interessantissimi dove finalmente, alcuni dei più autorevoli scienziati nazionali, hanno voluto prendere in considerazione l’evoluzione cosmologica, non più come risultato dell’ormai direi obsoleto caso o caos che dir si voglia, bensì come il frutto di un disegno intelligente.
Vediamo ora di dare degli elementi in grado di assestare qualche colpo decisivo alla suddetta teoria evoluzionistica che, ripeto, per quanto personalmente la consideri attendibile, non trovo affatto potersi applicare in toto alle fenomenologie oggi note.
Una delle domande fondamentali della filosofia, alla quale ancora oggi molti cercano di dare una risposta, è quella che chiede che cosa sia la coscienza. Quando ad un relatore delle tre suddette conferenze ho domandato cosa fosse, a suo parere, la coscienza, lui ha risposto facendomi a sua volta una domanda. -Che cosa intendi per coscienza?- mi disse. Gli spiegai che per coscienza non intendevo il fatto che l’uomo sia cosciente della realtà o degli oggetti che la compongono. Mi riferivo invece al fatto, ben più importante, che l’uomo è cosciente di sè stesso, ovvero sa di esistere.
Essendo questo ricercatore un materialista convinto, mi rispose che secondo lui anche la coscienza, oltre che la creatività e la fantasia, era il risultato dell’evoluzione naturale, la quale avendo assemblato in una determinata maniera alcuni elementi di materia, li aveva anche resi capaci di essere coscienti di esistere. Esistono attualmente alcuni tipi di esperimenti per verificare se sia possibile creare la coscienza artificiale. Questo è un campo di studio che fa riferimento alla cibernetica e all’ingenieria elettronica. Anche alcuni matematici se ne stanno occupando. Se ciò che ha affermato il ricercatore di Merate fosse vero, questi ultimi avrebbero una certa speranza di riuscita nei loro esperimenti. Allo stato attuale però ci si trova ben lontani dal raggiungimento dei risultati ambiti ma soprattutto sarebbe da dimostrare che una eventuale presa di coscienza, da parte di un organismo creato in laboratorio, sia realmente frutto della combinazione di elementi materiali che si è voluto assemblare. Questo lo dico, perchè in realtà l’uomo, se volesse, sarebbe già in grado di costruire un organismo cosciente: la clonazione genetica ne è la prova. Sarebbe sufficiente clonare un uomo, per poter affermare di aver realizzato in laboratorio la coscienza artificiale. La domanda è quindi questa: -E’ possibile che la coscienza si formi semplicemente mettendo assieme degli elementi di materia?- La mia risposta è: -Assolutamente no!-
Esiste già un brillante esperimento, che è quello della camera cinese, che dimostra con margini di dubbio pressochè inconsistenti, che una macchina come il computer può ragionare ma non è cosciente di ciò che fa. Questo interessante esperimento, ideato dal filosofo John Searle, prevede che una persona non cinese si chiuda in una camera e gli siano fornite tutte le istruzioni necessarie a tradurre il cinese in un’altra lingua che però non conosce. Gli vengono forniti dei dizionari e dei libri che lo aiutano nella traduzione. Ad un certo punto un operatore gli invia un foglio con i tipici ideogrammi della scrittura cinese e chiede che siano tradotti. La persona che si trova all’interno della camera esegue la traduzione pur non conoscendo il significato di ciò che vede scritto sul foglio e ne fornisce il risultato. Da questo esperimento risulta ovvio che il traduttore non conosce il cinese, e nemmeno conosce la lingua in cui lo ha tradotto, quindi non conosce neppure il significato del messaggio tradotto. Eppure al termine del procedimento la traduzione è stata eseguita. Questo semplice ma geniale ed esplicativo esperimento, serve a dimostrare anche ai più incalliti sostenitori della coscienza artificiale qual’è il modo in cui lavorano le macchine come i computer. Se da una parte è possibile affermare che essi compiono dei ragionamenti, dall’altra non si può assolutamente credere che queste macchine sappiano ciò che stanno facendo, ovvero che siano coscienti. Orbene, oggi, alla luce di ciò, c’è ancora qualcuno che continua ad ostinarsi nel voler immaginare che la coscienza scaturisca dalla materia, in base ad un disegno di tipo meccanico-evoluzionistico -darwiniano generato dal caso. Questi personaggi sovente sono al vertice della scienza e della filosofia moderna e fanno pesare le proprie opinioni grazie alla posizione che occupano. Ne risulta che la società contemporanea è pervasa di materialismo e non si occupa della spiritualità, pur avendola sotto gli occhi tutti i giorni. Tutto questo, solo e semplicemente perchè lo spirito è libero e non si lascia certamente ricondurre ai numeri e imbrigliare dai ragionamenti di alcuni scienziati. Le conseguenze di questo comportamento deviante le vediamo ogni giorno e data la loro evidenza, non c’è sicuramente necessità di fare commenti in merito. Ai materialisti si potrebbe anche rispondere che se un uomo o una donna si trovassero ad un bivio, secondo il quale in una direzione si giunge alla morte, mentre seguendo quella opposta si arriva alla vita, questo uomo o questa donna sarebbero liberi di scegliere qualsiasi direzione senza condizionamenti e in barba al biologicissimo e darwiniano istinto di conservazione. Tuttavia, ponendo la questione, i suddetti personaggi troverebbero immediatamente una nuova scusante per negare l’arbitrio umano, in favore del loro “arbitrio biologico”. Essi infatti risponderebbero che in caso di scelta verso la direzione della morte, l’essere avrebbe obbedito ad un altro fantomatico istinto che va in direzione diametralmente opposta al fondamento darwiniano antonomatico che è quello della conservazione della specie.
Qual’è la mia risposta a questo disordinato abuso di scienza, darwinismo e psicologia, che pretende addirittura di dare una valenza matematico-materialista al fatto che le persone abbiano una loro coscienza?
La risposta è contenuta nel paragrafo “La coscienza” della quarta dissertazione del libro intitolato “La Terza Persona”, dove per la prima volta, in qualità di filosofo e ricercatore, unifico in una sola teoria i tre concetti di amore, volontà e coscienza: ossia un’unica essenza chiamata spirito. E dimostro inoltre che tale essenza non è riconducibile ad evoluzioni di tipo darwiniano perchè fondata sulla base di un’unica sostanza inscindibile quindi non passibile di modificazioni. In sintesi la coscienza o c’è o non c’è, e non è soggetta a mutazioni come avrebbe preteso il relatore della succitata conferenza. Sia che per coscienza si intenda consapevolezza dell’esistenza di un oggetto, vero o illusorio, sia che si intenda la sola ed unica forma di coscienza autentica che è la coscienza di esistere ed essere vivi, il risultato non cambia: non si può essere piu o meno coscienti, o si è coscienti o non lo si è affatto.
L’ho già scritto nel mio libro e qui lo ribadisco: la coscienza o c’è o non c’è e non è passibile di evoluzione. Io so di esistere oppure non lo so, non ho stati intermedi in cui lo so di più o di meno. Tra l’altro è ancora tutto da dimostrare il fatto che chi è temporaneamente privo di coscienza, perchè privo di sensi, lo sia poi a tutti gli effetti solo perchè non è in grado di ricordarsi che cosa ha fatto durante il suo stato di incoscienza. Definirei questo genere di esperienze psicofisiche come perdita dei sensi e della memoria, non di certo perdita di coscienza. Per quanto poi attiene all’inconscio e al subcosciente, anch’essi grandi cavalli di battaglia del materialismo scientifico novecentesco, direi con sicurezza che in questo caso si è fatta confusione con i termini e ci si dovrebbe più appropriatamente riferire ad oggetti quali ricordi subliminali o stati alterati della memoria, più che modificazioni del livello di coscienza.
Tutto questo, a mio avviso assesta un colpo definitivo alle fumose teorie che ci vedono come semplici creature materiali in balia della materia, e in particolare contribuisce a dare una valenza di autenticità alla tesi del libero arbitrio, per la quale il grande Santo di Ippona si è battuto strenuamente.
E allora cos’è in conclusione questa fantomatica libertà concessa, per la quale sono sorte e ancora oggi sorgono tante discussioni?
Non penso di incorrere in azzardo, se oggi, in questo articolo, e per la prima volta al mondo, affermo che anche il libero arbitrio è coscienza, che è volontà, che è amore… che è Spirito.
Articolo di Giovanni Ravani
Ho trovato molto utile ed interessante l’articolo.
Vorrei tuttavia approfondire alcuni punti: sebbene sia abbastanza evidente che l’autocoscienza non può derivarsi dalla materia, è anche evidente che la possibilità di interagire con la realtà e di avere memoria di se stessi sono consentiti dalle funzioni del nostro corpo. Se lo spirito si separa dal corpo può benissimo continuare ad esistere ma non avendo più memoria di se e possibilità di interagire non sarebbe più “persona”. L’Io in quanto persona a questo punto non esisterebbe più. L’esempio della persona in coma è illuminante, potrebbe pur essersi mantenuta l’autocoscienza ma non potendo essere ricordata questo non ha alcuna valenza sull’esperienza della persona.
Può esistere qualche evidenza che memoria di se e possibilità di interazione possano esistere indipendentemente dal corpo cui sono collegate?
Grazie