Con-centrare il pensiero
di Tiziano Bellucci
L’esercizio della concentrazione è il fondamento da cui parte ogni pratica occulta: è la condizione indispensabile per attuare la trasposizione della coscienza di veglia in stati superiori della coscienza.
Senza il pieno possesso della tecnica della concentrazione, che conduce all’esperienza del pensiero libero dai sensi, non vi è meditazione, preghiera o atto cultico che non sia soggetto a pericoli per l’anima e per il corpo: tuttavia, nel migliore dei casi, ogni pratica sarà puro tempo perso.
Si tratta di creare silenzio nella coscienza, facendo astrazione da ogni percezione disturbatrice esteriore e interiore, per evocare nella coscienza un oggetto prodotto dall’uomo, descrivendo a se stessi l’aspetto e la funzione dell’oggetto, sino a condensare il tutto in una specie di immagine di sintesi. Dopodiché tale immagine va tenuta davanti alla coscienza per almeno 3 minuti, avendo cura di non voler vedere altro che quella.
In altri termini, si deve tendere a voler pensare univocamente un semplice concetto relativo ad un dato ente, affinché esso si muova vivo nella coscienza. Dopodiché tutto il pensiero suscitato deve venire riassunto in una singola immagine simbolica e osservato come se fosse un oggetto esterno: ciò che prima si era voluto pensare, lo si deve ora volere vedere. Vale da dire: smettere di pensare il pensiero, per volgersi ad osservarlo.
Ogni disciplina esoterica preparatoria antica o moderna, in realtà tende a questo scopo: far sperimentare al discepolo la Forza grazie alla quale si formano nella sua coscienza i concetti. Tutte le ascesi esoteriche si fondano sulla capacità di imparare a conoscere e quindi a vedere la forza del Pensiero come una forza impersonale, indipendente dall’organismo psico-fisico nel quale si è normalmente identificati: come un substrato energetico, o meglio un’Entità autonoma esistente fuori dall’uomo, poggiante su sé stessa. Si tratta di pervenire all’esperienza delle proprie forze di coscienza di atto.
È importante chiarire che tali forze non sono ciò che solitamente si intende come convenzionale forza di pensiero, ma qualcosa di più di essa, un qualcosa di extrasensibile che rende possibile la capacità di pensare: un quid che è l’espressione quotidiana della manifestazione di un essere spirituale trascendente, che si rende immanente tramite l’anima umana: l’Io umano.
L’arte del discepolo è d’impossessarsi di quella Magia che nel pensiero ogni volta si manifesta, ma che non è il pensiero; si tratta di manifestare questa forza, mediante un qualsiasi tema, pensandone intensamente il contenuto, ma curando di coglierla di là da questo. Si deve sapere che non è possibile poter vedere la forza del pensiero nel suo immediato e contemporaneo svolgersi, cioè mentre si pensa un qualcosa, perchè in quell’atto si svolge un’elaborazione dialettico-pensante e non una percezione; ciò lo si può fare soltanto una volta che il pensiero abbia esplicato la sua attività: vale a dire che esso deve dapprima venire portato a manifestazione, concentrandosi sullo svolgimento in parole ed immagini di un dato tema, per poter cogliere obiettivamente la sua attività.
Nella vita ordinaria prima si osserva una forma, poi di conseguenza appare nel nostro pensiero il suo contenuto concettuale; ora si tratta di fare proprio l’esatto contrario: prima si deve pensare il contenuto o il significato interiore di una cosa, poi osservarne la forma. Dare forma al contenuto.
Occorre squadernare il contenuto di un ente e ripercorrere con un atto di volontà, la successione dei pensieri che lo costituiscono; per poi riunirli (etimologicamente: ricostituire l’uno) in una singola immagine: ciò attua l’evocazione della forza stessa che ha reso possibile tutto il processo.
Insistendo sulla forma esteriore di un oggetto si mette in moto quella forza che è l’origine del pensiero dell’oggetto e dell’oggetto stesso; contemplando l’immagine di sintesi finale, dietro di essa avremo la possibilità di aver di fronte a noi, concentrata in un punto simbolico, quella forza. Realizzando ciò, si avranno create le condizioni per incontrarla e conoscerla.
Solo in tal modo si può venire a conoscere la vera natura del Pensare, ossia della extrasostanza che si usa per pensare, quale essenza impersonale e oggettiva. Il discepolo giungerà a sperimentare: “vi è qualcosa nella mia mente che è il tessuto stesso dei miei pensieri, dei miei ricordi; ma io so che essa non è quei pensieri e basta: ha la natura di una Potenza che esiste anche al di fuori della mia coscienza umana, e che svolge al di là di questa una vita propria, autonoma. Questa Forza è la manifestazione di un’Entità spirituale.”
Il primo passo per giungere a questo, si consegue con l’assumere come oggetto della contemplazione le forme-pensiero suscitate da sé stessi tramite il ripercorrere meditativo. Attuare la concentrazione significa arrivare a sperimentare in un singolo atto la sintesi adialettica di un contenuto analizzabile e manifestantesi in molteplici forme, prima che torni ad essere forma e analisi.
Se si vuole imparare a conoscere e a scorgere l’esistenza del proprio essere superiore, sino ad identificarsi in esso, occorre quindi farlo partendo dalla contemplazione del moto del proprio pensiero, ossia ricorrere alla concentrazione, che significa: “disattivare” il supporto cerebro-astrale tramite cui solitamente ci si identifica, per dar modo all’Io di presidiare all’autocoscienza non tramite esso, ma attraverso la corporeità eterica.
Realizzando l’osservazione di ciò che si è prodotto tramite la propria attività pensante volitiva si arriva ad un dato punto in cui non ci si sente più l’Io ordinario, ma d’improvviso una calma, una fermezza e una sicurezza ci pervadono, al punto di sentire sorgere la consapevolezza che in quell’attimo non si è più ciò che si era, ma ci si è congiunti con un essere Divino: il nostro vero Io. “Noi” siamo l’Io. (“Noi”: anagramma di “Io iN iO”).
“Se l’uomo vuole diventare uomo, deve imparare ad osservare il pensiero, per trovare il punto in cui egli ancora non pensa, essendo l’Io sul punto di pensare.”
Nella contemplazione del pensiero, l’Io quale entità sovrasensibile, comincia a sperimentare la sua presenza entro il corpo eterico, ovvero realizza la consapevolezza della sua esistenza entro il Divenire cosmico. Cosa mai accaduta prima ad un essere spirituale: avere autocoscienza di sé.
Da un altro lato, tale esperienza fa avvertire la reale condizione del nostro Io nel mondo: essere congiunto con ogni cosa. Di non avere oggetti intorno a sé, ma di essere il soggetto totale che incorpora tutti e tutto. La concentrazione tende a far risalire il pensare dell’uomo alla sua scaturigine divina.
Tramite l’atto di volontà, di dedizione, la coscienza tende per via naturale a ricongiungersi con la corrente di volontà che promana dall’Io, Figlio del Logos del mondo. Volontà umana attira Volontà Divina. Come per affinità di essenza, la volontà usata dall’uomo per concentrarsi si incontra con la volontà insita nel pensare del suo Io Divino, che per tale processo è divenuto una goccia ora differenziata, nel Mare dello Spirito.
La vera concentrazione realizza una vera esperienza spirituale, perché tramite l’immissione della volontà del discepolo, essa tende a accentrare illimitatamente e a isolare in un punto univoco il moto del pensiero: in tal modo non si rende possibile l’interferire di altre forze extracoscienti o automatiche che in genere pilotano il pensiero umano. La funzione dell’esercizio della concentrazione è realizzare nel discepolo la coscienza della ricongiunzione del pensiero con la sua sorgente sovrasensibile: L’Io. E’ un incontro fra uomo e Divino.
Per alcuni brevi momenti, cessa la nostra usuale identità con ciò che è il nostro corpo fisico e la nostra anima: diventiamo l’Io. L’anima è riuscita a praticare l’intuizione della propria essenza.
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Estratto da Il Suono della luce di Tiziano Bellucci
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