Cosa significa essere centrati?
di Ambra Guerrucci
Il centro è il punto in mezzo al cerchio della vita: alla periferia tutto muta costantemente, al centro tutto rimane immutato. È l’essenza di tutto, l’unità.
Non ne esiste uno per ognuno, anche se l’ego ce lo fa credere, in realtà è unico e universale, è l’unità di cui tanto si parla. Intorno al centro sono stati disegnati infiniti cerchi, personalità e identità per fare esperienza della separazione, ma questo è solo un gioco, la realtà è il centro, essenza di tutto ciò che esiste…
Quando scendi nelle profondità del tuo essere, ti accorgi che non esiste una tua essenza vitale, non esiste alcun individuo, ma solo un’unica energia che scorre come acqua in molti rivoli o torrenti diversi: alcuni torrenti hanno dei blocchi provocati dalla resistenza a questo flusso universale, altri fluiscono naturalmente verso l’oceano infinito, ma prima o poi, tutti sono destinati a tornare nell’oceano, nel centro che si trova ovunque nel tempo e nello spazio. Centrarsi vuol dire uscire dall’illusione e aprire gli occhi alla verità oggettiva, fuori dalla soggettiva prospettiva che viene a crearsi con l’ego.
Cos’è l’ego?
L’ego è la falsa personalità che ti illude di essere un’entità separata dal resto, una struttura psichica che usiamo per rapportarci con gli altri. Esso è una finzione, soltanto una maschera, ma è utile e fa parte dell’evoluzione. Prima della nascita il bambino non ha un ego, è vissuto per nove mesi in simbiosi con la madre, in totale unità, ma quando nasce inizia a svilupparsi come individuo, e a quel punto diventa utile pensare di avere un centro separato da tutto il resto del mondo o la sopravvivenza del bambino sarebbe davvero difficile.
Come ogni finzione, l’ego è molto fragile. Passiamo tutta la vita a fortificarlo, guadagnando più denaro possibile, circondandoci di oggetti di lusso, bellissime case e persone che ci lodano, facendo carriera, ecc., ma niente è sufficiente a reggere per sempre questa illusione, perché ha bisogno di essere nutrita costantemente, mentre, al contempo, la felicità proveniente da tutto questo non è duratura.
Quando cerchiamo la felicità nel mondo esterno, si tratta sempre di nutrire l’ego. La vera gioia, quella eterna, infatti, non può essere trovata fuori di noi, poiché ciò che dipende dall’esterno ha vita breve. Se cerchiamo la felicità in una macchina costosa, quando non ce la potremo più permettere o ci viene rubata, sentiamo che una parte di noi muore: indovinate quale parte? La parte dell’ego che era stata costruita su quella macchina.
Vi siete mai chiesti perché abbiamo tanto paura della morte? Perché non viviamo mai davvero? Passiamo la nostra intera esistenza terrena a crearci un’illusione che ci faccia stare bene, scriviamo sulla sabbia… e la morte è l’onda che cancellerà tutto ciò che abbiamo scritto.
Ci sono però momenti in assenza di ego: uno di questi è il sonno senza sogni, ma in una notte intera, al massimo due ore vengono passate in questo stato. È ciò che in india si chiama ‘sushupti’, è l’immergersi nella beatitudine… ma inconsapevolmente. Un altro caso di assenza di maschere, è quando la mente viene svuotata dai pensieri, in quanto se non ci sono pensieri a nutrirla, la finzione muore. L’ultimo caso di assenza di ego, è durante il momento dell’orgasmo, che non a caso in francese viene chiamata la ‘petite mort’: in questo momento ci si perde nel piacere, dimenticandosi totalmente della propria personalità. Ci abbandoniamo all’esistenza e per un attimo torniamo a casa, è simile allo stato di samadhi, un momento di illuminazione, ma come nel caso del sushupti, viene vissuto inconsapevolmente.
Il Buddhismo e il centro
Il Buddhismo spiega come arrivare al centro. Il Buddha spiega le quattro nobili verità, ciò che ha scoperto dall’osservazione sincera verso il mondo.
La prima è la verità del dolore: si guardò intorno e vide che tutte le persone soffrivano. Se osservate bene, noterete della tristezza anche in una risata, dell’angoscia dietro una battuta e della rabbia in un semplice gesto. Le persone fanno di tutto per fuggire al vuoto che hanno dentro, il dolore di non sapere chi sono veramente. Inconsciamente a tutti manca l’unità e la beatitudine, ma invece di scendere in profondità nel loro dolore e vivere una vita seguendo il flusso dell’esistenza, cercano di resistere, imponendo la loro musica al coro universale, non sapendo che ciò non è possibile, perché questa resistenza alla vita li porta solo a soffrire ulteriormente.
La seconda nobile verità riguarda l’origine del dolore: la ricerca della felicità nel mondo esterno, la brama dell’uomo di ingrandire il suo ego con ciò che è transitorio, la vita nella periferia anziché nel centro, l’ignoranza dell’impermanenza delle illusioni. Il dolore non è mai causato dall’esterno, né dal destino e tanto meno da una o più divinità, la causa del dolore risiede nell’attaccamento alle illusioni causate dal bisogno umano di nutrire la falsa personalità.
La terza nobile verità riguarda l’emancipazione dal dolore: è possibile smettere di soffrire lasciando andare gli attaccamenti a ciò che è provvisorio, oggetti e personalità. Dico personalità, perché è ciò a cui siamo attaccati, se infatti amassimo l’essenza delle persone non ci preoccuperemmo di perderle, perché ciò non è possibile in quanto non siamo mai separati da loro. Nel centro non esiste un noi e un loro, il centro è pura esistenza. Il problema è che non siamo centrati, e rimaniamo sempre alla periferia dove tutto è mutevole.
Da qui va da se la quarta ed ultima nobile verità, dove per far cessare il dolore è necessario seguire un percorso per aprire gli occhi alla verità, per avvicinarsi al nirvana. Il Buddha ha chiamato questa strada il ‘Nobile ottuplice sentiero’.
La ‘retta visione’, il primo punto, è in realtà il traguardo, ma è necessario sforzarsi di vedere la realtà conoscendo e interpretando in modo confacente le quattro nobili verità, o almeno capire che soffriamo perché non riusciamo a vedere correttamente.
La ‘retta intenzione’ è l’impegno a sostenere la retta visione e gli altri punti del cammino spirituale, lo sforzo di osservare e riconoscere gli attaccamenti e i meccanismi di inconsapevolezza che li provocano, al fine di eliminarli.
La ‘retta parola’ è l’assunzione delle responsabilità delle nostre parole, ponendo attenzione alla loro scelta e cercando di non disturbare o nuocere a nessuno con esse. Questo punto implica l’auto-osservazione, in quanto se non osserviamo ciò che diciamo, non possiamo prenderci le responsabilità delle nostre parole.
La ‘retta azione’ non è altro che l’azione che viene dal cuore, non motivata da vantaggio personale, dall’ego o dall’attaccamento verso i suoi effetti. Spesso, senza accorgercene, anche l’aiuto che diamo è mosso dal nostro ego. Troppo spesso sento la frase “aiuto gli altri quando sono in difficoltà, così che quando lo sarò io, avrò molte persone disposte ad aiutarmi”: se osservate in profondità questa frase ne percepirete tutto lo squallore. L’aiuto che viene dal cuore non nasce mai dalla paura di trovarsi da soli ad affrontare le difficoltà, né deve essere considerato una sorta di investimento per il futuro o motivo di vanto. Quando si aiuta qualcuno con amore non ci si aspetta niente in cambio, si dà per bisogno di donare, non per ricevere.
La ‘retta sussistenza’ non può essere ridotta al procurarsi il cibo senza spacciare, rubare e provocare danni agli altri, si tratta di vivere in equilibrio, lontani dagli eccessi dell’ascetismo e dell’edonismo, essere semplicemente naturali, mangiare né poco né troppo… semplicemente equilibrio.
Il ‘retto sforzo’ non è altro che la creazione di una nuova energia, la volontà che nasce direttamente dallo spirito ed è una delle due forze necessarie all’avanzamento spirituale. Questa forza nasce dallo sforzo di far coincidere al comportamento l’opinione, lasciare andare gli stati non salutari e perseverare nel cammino che riteniamo adeguato.
La ‘retta presenza mentale’ è la capacità di controllare la mente, saper interrompere il flusso di pensieri e mantenerla priva di confusione e di attaccamenti, ma per arrivare a questo, come prima cosa si deve imparare ad osservare la mente e a diventare coscienti dei nostri pensieri che sono in gran parte inconsci. Basta sedersi rilassati cinque minuti, cercando di non pensare volontariamente, per rendersi conto di quanto sia affollata la mente e quanto sia difficile controllarla.
L’ultimo punto riguarda la ‘retta concentrazione’, ovvero la capacità di mantenere focalizzata l’attenzione durante la meditazione ed il corretto atteggiamento interiore che porta alla padronanza di sé. Senza concentrazione, ogni punto di questo percorso è impossibile da seguire. La concentrazione su di sé è alla base di ogni punto di questo percorso.
La mente
La mente è un grande strumento, il problema è che è piena di spazzatura. Fin da piccoli veniamo riempiti di nozioni, così da abbattere la nostra curiosità, vera base dell’intelligenza umana. La mente funziona come una radio, nessuno pensa mai davvero, ci limitiamo a captare i pensieri sulla nostra frequenza vibrazionale. Ogni pensiero, anche se non si vede è fisico, ha una consistenza e quando lo captiamo entra nella nostra aura e assume i nostri colori.
Porto l’esempio di una cosa che osservavo proprio l’altra sera: ero in un bar dove alcune persone discutevano guardando la partita, e ad un tratto tutti hanno iniziato ad alterarsi, chi non era interessato al calcio, era invece adirato per l’economia che non può certo dirsi fiorente, chi non si interessava di economia, stava esprimendo il suo disappunto per i comportamenti del coniuge.
La rabbia ha colorato tutte le aure presenti, anche se ognuno l’ha espressa a seconda dei propri pensieri. Così funziona anche la mente, ma in modo leggermente più complesso, ognuno di noi vibra ad una frequenza, e capta solo la fascia di pensieri in cui si trova. In sostanza, se una persona sta male, anche se ha vicino un Buddha, non riuscirà a captare pensieri sull’amore universale, ma solo pensieri tristi.
La mente è un prezioso strumento che ci aiuta a comunicare il nostro sentire: il problema nasce quando invece di utilizzarla ci facciamo usare da lei, quando invece di pensare, ci perdiamo nei pensieri e ci identifichiamo totalmente in essi. La soluzione è semplice, osservare i pensieri costantemente per prenderne le distanze. La mente agisce come una calamita per il nostro sé, che viene letteralmente “risucchiata” in un vortice senza fine, ma per sottrarsi a questo meccanismo, è sufficiente osservare prestando attenzione, sia ai pensieri che a colui che li osserva.
Articolo di Ambra Guerrucci
Fonte: http://ambraguerrucci.blogspot.it/2013/04/cosa-significa-essere-centrati-di-ambra.html
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