“Ortoressia”: come la psichiatria imprigiona la libertà di pensiero
Dott.ssa Carla Sale Musio
Si chiama “Ortoressia” l’etichetta che demonizza chi sceglie un regime alimentare diverso da quello della maggioranza.
Grazie a un’accurata descrizione di sintomi e a un corollario ben orchestrato di spiegazioni scientifiche, la psichiatria questa volta mette alla gogna gli spiriti liberi e responsabili. Un tempo esisteva il disturbo “ossessivo compulsivo” e da solo bastava a indicare la sofferenza psicologica derivante dal sentirsi costretti a compiere più volte al giorno una serie di azioni stereotipate, vissute come indispensabili per raggiungere la sensazione interiore di vivere in pace con se stessi.
Oggi alla diagnostica tradizionale si è aggiunta una perversione nuova, volta a discriminare chi sceglie di occuparsi in prima persona della propria alimentazione e invece di seguire il branco si impegna, ogni giorno, a selezionare il proprio menù, seguendo un criterio salutista, fatto di scelte accurate e, ahimè… controcorrente.
Si potrebbe discutere a lungo sull’utilità di trovare definizioni psichiatriche alla sofferenza psicologica, ma qui voglio soltanto sottolineare in che modo il demone della patologia sia stato costruito ad arte per comporre un quadro diagnostico funzionale agli interessi delle case farmaceutiche e alla necessità di plasmare la nostra psiche, rendendola schiava di esigenze che hanno ben poco a che vedere con il benessere e con la salute.
Occuparsi della propria alimentazione in modo attento e consapevole, dovrebbe essere per tutti un dovere imprescindibile, necessario a condurre una vita sana e soddisfacente. Tuttavia, la nosografia psichiatrica è riuscita a trasformare un gesto di responsabilità e di partecipazione civile, in una psicopatologia da contrastare grazie al meticoloso utilizzo di farmaci, ricoveri e psicoterapia.
Chi ne risulta affetto se la dovrà vedere davanti a un giudizio sociale colpevolizzante, omologato e crudele, rischiando di portare per sempre le stimmate della malattia mentale e dell’emarginazione. Infatti, è proprio la preoccupazione per la salute e per le scelte nutrizionali che la sottendono, ad essere finita questa volta nel mirino degli psichiatri.
Non serve opporsi e dichiarare il bisogno di controllare una cultura gastronomica sempre più distante dalle necessità della sopravvivenza e incentivata da esigenze commerciali. Passare troppo tempo a esaminare le etichette dei prodotti alimentari, rifiutarsi di bere e mangiare cibi carichi di tossicità o di violenza, evitare di partecipare a riunioni goliardiche incentrate sul consumo smodato di alimenti malsani… non è il segnale di un comportamento responsabile e maturo. Al contrario: è un sintomo da curare!
E protestare non servirà, perché chi si trova dalla parte giusta della scrivania, tiene il coltello per il manico. Contrastare il verdetto degli psichiatri, infatti, è considerato sintomo di una patologica resistenza ad accettare la diagnosi. Ecco quindi che tante persone in lotta con l’avvelenamento nascosto dietro alla vendita degli alimenti, dovranno prestare attenzione a ciò che dicono e a ciò che fanno. Pena: un ricovero coatto e una cura farmacologica capace di ricondurli alla ragione.
E chi ancora insiste a non seguire la dieta prescelta dalla maggioranza, se la dovrà vedere con l’emarginazione riservata a quelli che hanno qualche rotella fuori posto. Le scelte alimentari vanno bene solo nel range indicato dalle statistiche, quello incentivato dalla pubblicità e dai mass media e finalizzato a tenerci cronicamente dipendenti dalle medicine. In questo modo le case farmaceutiche possono continuare a garantirsi i loro lauti guadagni.
La cura è quella degli interessi economici e la salute è quella che li incrementa con regolarità. L’obbiettivo della scienza medica non è il benessere delle persone ma la “longevità delle malattie”, funzionale alla vendita di pillole sempre diverse e alla creazione di una popolazione cronicamente bisognosa di terapie.
In questo scenario, il cibo e la dipendenza che ne deriva sono strumenti potenti ed efficaci per assicurarsi il mercato del farmaco e, come dimostrano le tante ricerche su questi argomenti, non servono persone armate di spirito critico, di consapevolezza, di interesse e di curiosità.
Occorre piuttosto una massa gregaria di consumatori diligenti, pronti a banchettare senza chiedersi perché e senza alcun desiderio di indagare le conseguenze delle proprie scelte alimentari. Per chi si ribella è arrivata l’ortoressia, a dimostrare che la coscienza non è necessaria e che la salute non corrisponde al benessere individuale, perché gli sforzi volti a costruire la consapevolezza, sono diventati una patologia con tanto di timbro e di ricetta medica.
Nel mondo dell’economia non c’è posto per le menti consapevoli: è auspicabile la lobotomia. Negli anni duemila il bisturi non serve più, i manicomi sono stati chiusi e al posto delle prigioni abbiamo la diagnostica psichiatrica, l’omologazione e l’emarginazione.
Benvenuta ortoressia!
Articolo della Dott.ssa Carla Sale Musio – psicologa e psicoterapeuta
Fonte: http://www.carlasalemusio.it/
Nella ma esperienza da vegana e vegetariana prima, ho avuto modo di notare (e avrei materiale per un libro o due) che le persone provano timore e invidia per chi ha il coraggio di uscire dagli schemi e dal confortevole senso dell’omologazione.
Quindi chi come me non solo decide di diventare vegana per la vita, e non per scelta bensì per dovere etico e morale verso la vita stessa, ma va oltre, ovvero decide di non delegare la propria salute a medici e medicine, viene visto come un pazzo estremista e addirittura, mi è stato detto terrorista!
Strano perché in genere i terroristi uccidono e se ne fregano della vita altrui, mentre il vegano ha cura della vita in quanto persona responsabile e preoccupata per il pianeta e la sua biodiversità.
Ma si sa, il cervello umano non serve più per pensare e sviluppare senso critico nei confronti di tutto ciò che ci viene presentato, bensì è ormai uma sorta di discarica dove la TV e qualunque altro mezzo di falsa informazione buttano spazzatura indiscriminatamente, e guai a provare a ribellarsi a questa apatia e a questa schiavitù spirituale, morale, e mentale.
Avere cura di se stessi in toto dovrebbe essere una priorità quotidiana, il che implica non solo il mangiare sano e senza procurare sofferenza agli animali, ma anche il non precipitarsi dal dottore o in farmacia per ogni minimo disturbo. Il proprio corpo va ascoltato e trattato con amore, così come la propria mente e il proprio spirito.
Inutile dire che opinione io abbia della medicina in generale, della psichiatria e anche di certe branche della psicologia, occupate solo a medicalizzare i disagi anziché trovarne la vera fonte.
E sono felice di non averci nulla a che fare.
Bellissimo articolo.Concordo con tutto:io stessa mi trovo spesso in difficoltà e quasi “in colpa”quando mi trovo mio malgrado a qualche sagra o pranzo e mi rifiuto gentilmente di consumare cibo tossico oppure cerco di indirizzare la mia bambina su cibi sani e nutrienti…..So di essere sulla strada giusta per quanto mi sia scelta un percorso in salita e sia perennemente ostacolata dal basso livello di consapevolezza generale.Cerco di avere fiducia in me stessa,del resto come potere avere fiducia in un sistema dove solo per fare un esempio negli ospedali che in teoria dovrebbero essere i”templi della salute”viene dispensato ai degenti tutto ciò che di peggio ci può essere per la salute dell’uomo,prosciutti,formaggi,carni quotidianamente,brodi di dado etc….etc…Non resta che armarsi della propria consapevolezza e proseguire.Buona vita a tutti