Planck, Einstein e la nascita della fisica quantistica
Ovvero dell’uomo che la creò, ma non ci credeva, e di colui che ci credette ma desiderava che non fosse vero!
– L’ipotesi di Planck sul fatto che la radiazione emessa e assorbita dalle pareti della cavità di un corpo nero è quantizzata.
– Il contributo di Einstein alla teoria quantistica e la sua relazione alla radiazione del corpo nero.
– Spiegazione del modello a particelle della luce in termini di fotoni a determinate energia e frequenza.
Una delle cose più scorrette nella trattazione di questi punti nella maggior parte dei libri di testo, è che viene utilizzato un atteggiamento non storico, con Planck ed Einstein che reagiscono a dettagliate e precise evidenze sperimentali circa la radiazione del corpo nero e l’effetto fotoelettrico. Questo produce certamente una trama molto chiara, ma a scapito di rendere una delle più grandi scoperte scientifiche di tutti i tempi quasi una sorta di vicenda banale. In realtà le prove sperimentali con cui Planck e Einstein hanno dovuto lavorare erano scarse, e la loro abilità ad unirle insieme per creare i fondamenti della fisica quantistica è stata stupefacente.
Al momento del lavoro di Planck si è capito che tutti i corpi irradiano energia (radiazione elettromagnetica) in funzione della loro temperatura. La natura di questa radiazione è stata oggetto di studio attraverso l’utilizzo di corpi neri cavi come emettitori di radiazione. La luce che proviene da un oggetto è costituito di riflessione e di emissioni. Il corpo nero teorico assorbire tutta la radiazione incidente (cioè senza riflessione) in modo che la radiazione fuoriesce dall’oggetto sia costituita interamente di emissioni che dipendono dalla sua temperatura. Una buona approssimazione di un corpo nero può essere fatta mediante la costruzione di una cavità rivestita con materiale altamente assorbente come la grafite, ed una geometria che rende molto improbabile che qualsiasi radiazione incidente verrà riflessa fuori dall’apertura prima che sia assorbita dalle pareti della cavità .
Le tecniche utilizzate per studiare la radiazione del corpo nero si basavano sulla termodinamica. La termodinamica tenta di comprendere un sistema, mediante lo studio medio delle azioni e delle proprietà dei singoli oggetti. Nel caso della radiazione emessa, si è capito che tutte le particelle oscillano o vibravano e che la temperatura era una misura dell’energia media di queste oscillazioni (l’energia di una oscillazione è una funzione della ampiezza e della frequenza). Inoltre, un corpo si riscalda quando le sue particelle assorbono energia ed oscillano più velocemente (ad una frequenza più alta) e si raffreddano quando le sue particelle emettono energia ed oscillano più lentamente. Un corpo che è ‘caldo’ rispetto al suo ambiente si raffredda emettondo radiazione nell’ambiente e la distribuzione della frequenza di questa radiazione sarà legata alla temperatura del corpo. E’ stato lo studio di queste distribuzioni di frequenza che ha portato Planck alla sua ipotesi quantistica.
Per apprezzare il valore del contributo di Planck, è necessario rendersi conto che quando stava lavorando al “problema del corpo nero”, erano disponibili dati corretti solo per la parte visibile dello spettro EMR. Per questa parte dello spettro gli scienziati stavano sviluppando descrizioni teoriche sempre migliori delle distribuzioni osservate sulla base delle Legge di Stefan-Boltzmann (che descrive la quantità totale di energia irradiata) e della Legge di Wein (che descrive come questa radiazione è distribuita in tutto lo spettro). Entrambe queste sono leggi classiche che permettono alle particelle di oscillare ad ogni livello di energia (cioè la distribuzione delle energie di oscillazione è continua). Nel 1900, sono cominciati ad essere disponibili dati più affidebili per la parte infrarossa dello spettro e c’era una piccola discrepanza tra le previsioni secondo la fisica classica e le osservazioni sperimentali. Nel tentativo di rendere le previsioni coerenti con le osservazioni per questa parte dello spettro, Planck ipotizzò la limitazione che le particelle potessero oscillare solamente a livelli energetici che fossero multipli di h*f, quindi: E = n*h*f dove n = 1,2,3,4. In altre parole l’energia di oscillazione cambiava in modo discreto piuttosto che in modo continuo continuo. Se questa interpretazione produssse un buon accordo tra teoria e osservazione, tuttavia Planck non credeva davvero che l’energia si presentasse nella realtà a pacchetti (quanti), ma piuttosto pensava che questo trucco matematico avrebbe in seguito portato ad ulteriori indagini, per arrivare infine a produrre ancora una soluzione classica al problema.
Nel frattempo, a Berna, un impiegato di classe 3 di nome Albert, dell’ufficio brevetti, era seduto in un ufficio squallido a scrivere articoli e a costruire le basi della meccanica statistica, allo scopo di descrivere il comportamento generale dei sistemi fisici. Nel 1905, egli decise di applicare queste tecniche al problema della radiazione del corpo nero. Sulla base di ipotesi classiche, mostrò che l’unica soluzione possibile al problema del corpo nero era una distribuzione della frequenza che aumentasse in modo esponenziale nella parte UV (ultravioletto) dello spettro. Questo non era chiaramente possibile in quanto avrebbe implicato che l’energia totale del sistema (l’area sotto la curva) fosse infinita. Questo fatto è stato in seguito chiamato catastrofe ultravioletta. Einstein poi assunse l’ipotesi di Planck e scoperse che la previsione basato sulla sua meccanica statistica si adattava correttamente ai dati osservati nell’infrarosso e risolveva anche il problema della catastrofe ultravioletta (notare che le misure nell’intervallo dell’ultravioletto non erano disponibili all’epoca).
Il punto importante qui è che la modifica di Planck, sebbene brillante, era puramente empirica (un tentativo matematico per allineare le previsioni teoriche ai risultati empirici), mentre l’approccio di Einstein diede l’ipotesi quantistica una forte base teorica. Einstein si rese anche conto che se le particelle non potevano che oscillare su livelli discreti di energia, spostandosi tra i diversi livelli di energia attraverso l’emissione o l’assorbimento di radiazioni, allora tutte le radiazioni dovevano essere emesse o assorbite in pacchetti discreti o ‘quanti’ di energia pari a h*f. Noi oggi chiamiamo questi pacchetti fotoni, anche se il termine sarebbe stato introdotto solo nel 1916. Questa idea è stata veramente rivoluzionaria perché, tra le altre cose, ha suggerito che la luce (e tutte le altre EMR) si comportava come una particella, piuttosto che come un onda, come le stesse equazioni di Maxwell affermavano e secondo diverse dimostrazioni sperimentali. Le idee di Einstein non furono ben accolte per molti anni. Infatti, nel 1914, quando Einstein era stato raccomandato per l’adesione all’Accademia Prussiana, coloro che lo raccomandarono, tra cui Planck stesso, scrissero: “può a volte mancare il bersaglio nelle sue speculazioni, come, ad esempio, nella sua ipotesi dei quanti di luce”. Fortunatamente, Einstein propose una prova della sua ipotesi basata sull’effetto fotoelettrico, che fu in seguito confermata da Millikan nel 1916, e così la fisica quantistica nacque ufficialmente.
Si tratta di una nota interessante e ironica che, dopo aver fornito le basi della fisica quantistica, che avrebbe in seguito dato luogo al principio di indeterminazione e di dualità onda-particella, Einstein trascorse i suoi ultimi anni cercando di sbrogliare la matassa e trovare delle spiegazioni classiche e deterministiche per questi fenomeni. In questo lavoro però non ebbe successo!
Post originale in inglese inviato da: Prof. Stick
All’indirizzo: http://copyleftscience.blogspot.com/2011/12/same-same-but-differenteinstein-planck.html
[cc_by-sa]
Eccellente descrizione degli aspetti fondamentali della fisica quantistica. Ulteriore pregio del lavoro e’ il rigore unito alla chiarezza espositiva.
buono, spiegato bene in parole povere