Chi si accontenta… muore
di Roberta Bailo
Se non tocchiamo il fondo, quasi sempre lasciamo perdere. C’è sempre un giorno dopo con gli impegni di sempre, qualcosa da fare, dove le energie si ricaricano un po’. E così ricominciamo, aggiustate leggermente, stiamo un po’ meglio… “Chi si accontenta muore”… è uno dei miei motti di sempre.
E forse va bene anche così. Ci sono saggezze nascoste in certi nostri lasciar perdere. Tante cose si aggiustano da sole, senza accanimento. In altri casi, no. Il tempo non aggiusta. Acuisce.
In quei casi, abbiamo imparato come si fa a farlo passare lo stesso, abbastanza bene: ingoiamo insoddisfazione, sbottiamo ogni tanto un po’, quando proprio è più forte di noi, mettiamo da parte, in quel grande cassetto misto del “forse lo farò un giorno… ma chi mi credo di essere”, e andiamo avanti. Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, anno dopo anno. Per quieto vivere, per abitudine, per mancanza di speranza.
Sentendoci eterni. Chi non si sente così, del resto? L’idea della morte la concepiamo, ma credo che in ognuno di noi abiti un senso di tempo eterno che fa sì che possiamo procrastinare ancora e ancora il prenderci in mano e per mano, per mettere in sesto le nostre vite. Siamo bravissimi a piegare la schiena, abbassare la gli occhi e a chiudere il cuore, senza farlo troppo vedere. Siamo bravissimi a circondarci di persone che non fanno troppo caso a noi, e noi a sgattaiolare tra labirinti di qualche insoddisfazione e tanto mascheramento.
Una delle lotte che più ci blocca e tiene in pugno è tra il crederci e non crederci. Credere di poter vivere una vita migliore, felice, in accordo e sintonia con chi noi sappiamo di essere in profondità (e sentirlo veramente) e il non credere che questo sia praticabile, possibile, realizzabile in concreto. Non per noi almeno, “sì forse lo è se… per altri sì, ma non per me…”
Oscilliamo come pendoli, come è normale del resto. Siamo esseri problematici, sensibili e insicuri, bersagliati da venti ed energie di tanti tipi. Sperare di non passare attraverso questa lotta è un’utopia, infantile.
Sperare di non vivere dubbio, incertezza e buio… folle. Crescere credo sia proprio anche questo: assumere la consapevolezza che nulla è semplice e lineare. Che le relazioni sono complesse, anche quella con noi stesse. Che la vita è mistero in parte. E che il disegno lo possiamo vedere soltanto quando ci “alziamo” sopra di noi. E che ci sono giornate con energie leggere e giornate in cui tutto è scuro, profondamente scuro.
Che cosa stai aspettando per sceglierti? Che decida qualcun altro al tuo posto…? A chi hai ceduto il tuo potere? Chi dovrebbe crederci al tuo posto? Chi dovrebbe darti il permesso? Credo che questa sia la domanda più potente e vera. Sotto sotto dentro di noi aspettiamo ancora che qualcuno ci dica che va bene, che possiamo, che ne abbiamo il diritto di stare bene.
Chi ha vissuto buio e luce arriva ad un certo punto in cui comprende e smette di farsi la guerra. E accetta di essere un essere contraddittorio. Si dà finalmente tregua, smette di cercare forsennatamente risposte, e molla la presa. Sono momenti di benedizione quelli, da custodire gelosamente, e mettere nello scrigno della memoria, da andare a riprendere già il giorno dopo magari, quando si rifarà sentire pesante quel tormento, quelle domande, quell’ansia di capire, capire e risolvere. Soltanto a partire da questi momenti di grazia possiamo trovare la nostra risposta e la nostra scelta. Scelta che si fa strada in noi come una luce che emerge dalla nebbia e possiamo iniziare a domandarci che cosa vogliamo per noi stessi.
Stando dentro una “terza terra”, che non è quella del dilemma di prima. È una terra dove non vivono i sensi di colpa, non vive la paura delle conseguenze delle scelte, non vive la paura dell’abbandono e del domani. E c’è un chi se ne frega se… non ho il permesso, se non me lo merito, se non sono degna, se…
Perché è una “terra oltre”. Oltre tutto questo, al di là. Un altro linguaggio al quale non importa se ci credi o meno. Perché è una terra dove si fa. E basta. Non importa se credere o meno di meritarsi una vita migliore. In questa terra le contraddizioni sono oltrepassate, si accetta, e si dà per scontato di meritarlo e si fa di tutto per viverlo. Si vive l’oggi per quello che c’è. Con tutti i sentimenti e le emozioni che scorribandano.
E li si lasciano abitare. In questa “terra terza” la domanda giusta è altra, oggi, qui, ora. Quale strada è possibile per me oggi? Sapendo già che la strada c’è ed è percorribile.
Nella “terra terza” abita un altro sentimento, quello del passo indietro consapevole, della tregua, della dolce resa e della scelta calma: di prendersi per mano secondo i propri tempi autentici, non quelli dettati da idee esterne di come dovrebbe essere o da aspettative altrui. Già in tutto questo oggi c’è tutto quello che è necessario. Qua ora, in questa ora qua. Così si costruisce la nostra eternità. Così le risposte arrivano anche a quel dilemma che ci attanaglia: crederci o non crederci. Darsi il permesso o meno di una vita migliore. Qui il permesso già c’è. Ed è possibile.
In questa ora puoi costruire la tua scelta. Cambiare direzione, se vuoi, e cercare di ottenere tutti gli strumenti possibili per te. In questa terra salti la procrastinazione, e agisci, per te e con te. Per il tuo valore e la tua gioia.
Articolo di Roberta Bailo, autrice di “Potente come un canto“, edizioni Unsolocielo
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Fonte: https://www.naturagiusta.it/benessere/chi-si-accontenta-muore/
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