Robert Lanza, Vittorio Marchi: la Morte? Non esiste…
di Stefania Del Principe
Robert Lanza: “La morte è solo il frutto del nostro pensiero…”
Qualcuno di noi, si dice, “nasce con la camicia”. Sembra che tutte le fortune arrivino a loro, mentre altri devono soffrire dalla nascita fino alla morte. Non stiamo parlando, quindi, solo di differenze sociali ma anche di disuguaglianze naturali che si verificano fin dal primo istante di vita. Va da sé, che qualsiasi persona dotata di buon senso si porrebbe questa domanda: “se esiste un Dio perché con qualcuno è bravo e con altri no?”
Indubbiamente le filosofie orientali possono rispondere alla domanda con una semplice parola: “karma”. Ma questo presuppone che ci siano diverse vite e non solo una. E, infatti, anche secondo alcuni scienziati ci sarebbe la prova che le nostre vite non finirebbero mai, semplicemente perché la morte non esiste.
Cos’è la morte?
La morte è solo il frutto del nostro pensiero. Non esiste… probabilmente come non esiste tutto il resto. A questa conclusione, è giunto uno dei più noti fisici moderni: Robert Lanza. Lo scienziato è anche un esperto di medicina rigenerativa e direttore del Advanced Cell Technology Company negli Stati Uniti. Per farvi comprendere di chi stiamo parlando, possiamo dire che recentemente il New York Times lo ha descritto come “il terzo più grande scienziato ancora in vita”.
Morte, la coscienza crea l’universo
Nel suo libro “Biocentrism: How Life and Consciousness are the Keys to Understanding the Nature of the Universe”, il ricercatore spiega come ci siano prove del fatto che sia la nostra coscienza a creare l’universo materiale. Pensavate il contrario forse? Egli presenta diversi elementi a sostegno dell’ipotesi che l’universo e le sue leggi siano ottimizzate per quella che noi chiamiamo “vita”. Ciò può avere solo una spiegazione: l’intelligenza esisteva prima della materia. Idem per il concetto di spazio-tempo: “Portiamo lo spazio e il tempo in giro con noi, come le tartarughe con i propri gusci”.
Morte, cosa accade se si distrugge il guscio?
Se portiamo lo spazio-tempo a spasso, esattamente come fa la tartaruga con il proprio guscio, cosa potrebbe accaderci se esso si distruggesse? Non succederebbe niente, nel senso che noi continueremmo a esistere (seppur in forma diversa). La morte, in pratica, non esiste se non sotto forma di pensiero. Siccome siamo abituati a identificarci attraverso il nostro corpo, quando esso non ci sarà più (pensiamo), noi svaniremo nel nulla.
Ma le prove dimostrano il contrario: il nostro corpo, quando è in vita, riceve una sorta di segnale, esattamente come fa un decoder per trasmettere le nostre trasmissioni preferite. Quindi, ovunque saremo – o qualunque corpo avremo dopo – tali segnali ci accompagneranno sempre. La conferma di tale teoria, arriverebbe anche da altri due grandi scienziati: Stuart Hameroff e Roger Penrose.
L’esperienza di Vittorio Marchi
Vittorio Marchi è considerato un grande scienziato. Insegna fisica da molto tempo e le sue teorie stanno coinvolgendo sempre più persone. Durante un’intervista rilasciata a Macro Edizioni, lo scienziato ha spiegato come all’atto del trapasso, secondo recenti studi, nel nostro cervello vengono inglobati dei “microtubuli” a livello dei neuroni. Si tratta dei principali componenti dello scheletro strutturale delle cellule che contengono le “tubuline”, sostanze di informazione quantica che ci legano con il “Tutto”, ovvero il resto dell’universo. E durante la fase che noi chiamiamo “morte” rientriamo semplicemente in questo Tutto. In pratica, nulla va perduto e può essere riutilizzato per vivere una nuova vita.
La morte, l’elettroencefalogramma e l’anima
Uno scienziato giapponese di nome Anirban Bandyppadhay, dottorando del National Instituite di Scienze Naturali di Tsukuba, che ha lavorato anche per il MIT di Boston, ritiene che le onde cerebrali dell’EEG possano derivare dalle “vibrazioni microtubulari” e che agendo su tali vibrazioni si potrebbero migliorare le condizioni di salute di molte persone. Ritiene anche che l’anestesia cancelli in modo selettivo la coscienza, agendo proprio attraverso i microtubuli dei neuroni cerebrali.
La domanda che egli si è posto è la seguente “La coscienza si è evoluta da complessi algoritmi o è il contrario? È la coscienza stessa a starci sempre accanto come, appunto, il guscio di una tartaruga?” Queste domande potenzialmente aprono un “vaso di Pandora”, ma la nostra teoria ospita entrambi i punti di vista, suggerendo che la coscienza deriva da vibrazioni quantiche in microtubuli (polimeri di proteine all’interno dei neuroni del cervello), che gestiscono le funzioni neuronali e sinaptiche e che collegano i processi cerebrali a processi di auto-organizzazione.
Tutto è indissolubile
I nostri occhi vedono solo la parte grossolana (materia), ma non sono in grado di vedere tutto il resto. D’altra parte, la fisica quantistica ci spiega che un oggetto osservato può essere diverso (presente) a seconda dell’osservatore. Senza l’osservatore (noi) l’universo non esisterebbe.
Non a caso, si legge in un’Intervista di Marchi, nel blog di Giovanni Pelosini, il termine “uomo” deriva dal sanscrito “Manava”, un derivato di “manas” (pensiero, coscienza). Insomma, è probabile che la verità sia stata sempre sotto i nostri occhi, ma che le distrazioni quotidiane (lavoro, emozioni varie, sostentamento, salute, ecc…) ci abbiano impedito di vedere realmente le cose come stanno davvero. D’altro canto, è possibile che anche questo faccia parte del gioco in cui noi stessi siamo rimasti intrappolati.
Articolo di Stefania Del Principe
Ecco, dopo 34gg di coma dovuti ad un ictus emorragico devastante, e a 3 cicli di chemio associate a tutti i gg. per 7 settimane di radio terapia conseguenza di un tumore, ora mi sento moooolto più sereno. Ovviamente queste mirabolanti teorie vengono a chi dall’altra parte non è mai stato, e di conseguenza non ci è mai tornato per confermarlo. Esperimenti a parte ovviamente, che restano sempre unicamente solo esperimenti.