La Bhagavad Gita: Storia e Significato del Testo Sacro dello Yoga
di Benedetta Vignati
Il dialogo tra il Signore Krishna e il guerriero Arjuna sul campo di battaglia espone i principi chiave dello yoga e della spiritualità indù.
La Bhagavad Gita (Bhagavadgītā, भगवद्गीता) è un’antica opera letteraria indiana che offre profonde conoscenze sullo yoga.
Da molti considerata il “testo sacro” dello yoga, ha ancora oggi una profonda rilevanza culturale e spirituale e i suoi principi guidano moltissimi praticanti nel mondo.
In questo articolo esploriamo la sua storia, il suo significato, i principi chiave che raccoglie e come possiamo applicarli nella vita quotidiana.
La Storia dello Yoga
Per comprendere al meglio questo testo, dobbiamo necessariamente partire da una domanda basilare: che cos’è lo yoga? Lo yoga è una storia d’amore tra l’individuo e il Divino.
L’essere umano ha la possibilità di diventare consapevole che esiste un’energia superiore e benevola che permea l’intero Universo e lo impregna di amore. Non solo: può scoprire di essere parte di questa meravigliosa creazione.
L’uomo è una particella infinitesimale dell’amore del Divino e, attraverso lo yoga, si libera dalla realtà materiale insieme alle sue emozioni superficiali (quali l’invidia, la sofferenza, l’egoismo) e inizia ad amare la vita, provando pace e beatitudine.
Dal termine sanscrito yoga (योग) deriva da “-yuj” che significa “congiungere, connettere”, per indicare che lo yoga connette l’individuo alla sua vera natura interiore e all’Amore infinito.
I Testi dello Yoga
L’essenza dello yoga si trova nelle “Upanishad”, la parte finale delle sacre scritture “Veda”, e nel “Mahabharata”, un vasto poema epico in cui sono riportati gli avvenimenti che precedono l’età di “Kali-yuga”, cioè quella attuale.
Tradizionalmente si narra che il saggio Vyasadeva trascrisse questi testi, che sono dei canti rivelati dalle divinità.
Il Mahabharata fu scritto a partire dal IV secolo a.C. fino al IV secolo d.C. e tratta le storie degli Arii, il popolo indoeuropeo che invase l’India nel XXXII a.C., ovvero al termine dell’era “Dvāpara-yuga” che precede l’era attuale.
Il tema centrale di questo poema epico è lo scontro tra due schieramenti di consanguinei appartenenti allo stesso clan.
La “Bhagavad Gita” è il capitolo più importante all’interno del Mahabharata ed è interamente dedicato allo yoga: ne raccoglie la filosofia in modo completo e per questo ne rappresenta il testo per eccellenza.
Il Contesto Storico
Durante il periodo in cui si colloca la Bhagavad Gita, l’India era divisa in numerosi regni e principati, e la ricerca della verità spirituale era una parte integrante della vita quotidiana per molte persone.
L’era in cui è ambientata la Bhagavad Gita è nota come l’era degli “episodi epici”, caratterizzata dalla narrazione di storie mitologiche e leggende epiche. Il Mahabharata è proprio uno dei più importanti di questi racconti.
La Bhagavad Gita
La Bhagavad Gita è un capitolo del Mahabharata suddiviso in 18 canti, noti come “il canto del Divino” (traduzione letterale del nome Bhagavadgītā). Descrive la via della realizzazione spirituale che trascende tutte le religioni.
Questi 18 canti narrano il dialogo che ebbe luogo cinquanta secoli fa tra il Signore Sri Krsna e il suo devoto e grande amico Arjuna. Il loro incontro avvenne sul campo di battaglia nel momento iniziale della guerra fratricida tra i Dhrtarastra e i Pandava, i due schieramenti rivali.
Queste due parti erano i figli di due fratelli, discendenti del re Bharata (da cui viene il nome del Mahabharata). Dopo la morte dei loro genitori, i figli di Dhrtarastra per succedere al trono iniziarono uno scontro armato tra cugini, consanguinei, con i Pandava.
I Pandava sono puri devoti del Signore e uomini di alto livello morale, mentre i Dhrtarastra sono privi di virtù e non riconoscono il Divino.
Krsna scese sulla terra e si offrì di partecipare alla battaglia offrendo due condizioni pattuite con entrambi le parti. Senza combattere personalmente, Sri Krsna offrì la scelta di mandare il suo esercito in uno dei due campi e nell’altro Lui stesso come consigliere del comandante.
I capi delle due fazioni presero le loro decisioni: il comandante dei Dhartarastra scelse le forze armate di Sri Krsna, mentre il comandante dei Pandava preferì avere Lui in persona dalla loro parte. Krsna divenne così il conduttore del carro del comandante dei Pandava, Arjuna.
Gli eserciti si schierarono in combattimento nel campo di battaglia e Krsna affiancò Arjuna e gli enunciò il suo insegnamento divino prima dello scontro: la Bhagavad Gita.
L’Insegnamento Divino
L’insegnamento divino si fonda sul come vivere per connettersi al Divino e come crescere spiritualmente.
All’interno della Bhagavad Gita si narra che Arjuna non aveva davvero desiderio di combattere, poiché non voleva muovere una guerra verso i suoi cugini.
Sri Krna inizia il suo dialogo chiedendogli di affidarsi a Lui e così dicendo (p.90, 2.33, verso 33): “Se ti sottrai alla battaglia venendo meno al tuo dovere religioso, sarai senz’altro colpevole di aver trascurato i tuoi obblighi e perderai la reputazione di guerriero.”
Questo tema iniziale del “combattere per dovere” è un insegnamento che si riferisce al vivere il proprio dovere nella vita, un dovere non dettato dal lavoro, dalla famiglia, dal denaro o dalla società, ma da qualcosa di superiore e divino.
Quando si agisce nella coscienza di Dio non si devono prendere in considerazione gioia e dolore, guadagno e perdita, vittoria e sconfitta, ma si considera il fatto di agire per volere del Signore. Bisogna abbandonarsi al servizio del Creatore, agendo con equanimità, che Krsna descrive come lo yoga in sé.
Lo yoga è concentrare la propria visione su un concetto supremo, controllando i sensi, connettendosi al proprio dovere trascendentale. All’interno di questo testo, lo yoga viene citato nel sesto capitolo e viene inteso come il mezzo per diventare consapevoli del qui ed ora ed accogliere tutto ciò coltivando l’equilibrio e l’equanimità per vivere al meglio ogni situazione.
Il Karma e il Dharma
Nel corso della Gita, Krsna spiega come agire per compiere il proprio dovere, cioè uscire dal ciclo del “Karma”, il destino che ci siamo creati per via delle nostre azioni passate, e realizzare il proprio “Dharma”, cioè agire sulla via giusta dettata dalle leggi divine della gioia.
Alcune azioni giuste che vengono descritte sono l’agire nella virtù, liberandosi dall’ignoranza e dalla passione, e controllare i sensi affinché si possa vivere su un piano spirituale rispetto a quello materiale.
La pagina 191 della Gita, 4.24, verso 22, così recita: “Soddisfatto di ciò che gli arriva spontaneamente, libero dalla dualità e dall’invidia, equanime nel successo e nel fallimento, benché agisca non è mai prigioniero dell’azione (riferendosi all’uomo, ndr).”
Bisogna lasciare andare gli attaccamenti materiali e gli scopi delle proprie azioni, ricercando l’origine di ciò che ci muove e avendo fede nel cammino che ci aspetta. Questa visione è difficile da comprendere per l’uomo contemporaneo molto legato al mondo materiale.
Aprirci alla Nostra Natura
La filosofia di vita della Bhagavad Gita, agli occhi di noi occidentali, può sembrare apatica e degna di dubbio. Ma quando apriamo il cuore verso la nostra vera natura, il soffio vitale che deriva dal sanscrito “Atman”, e verso qualcosa di Superiore (che si può chiamare come si desidera), solo allora possiamo cogliere il nocciolo della questione finora descritta.
Bisogna vivere amando ogni cosa in ogni attimo, servendo per il bene proprio, altrui e del mondo, ricordandoci di fermarci in un semplice istante per chiudere gli occhi e nutrirci della nostra eternità.
Lo sguardo interiore, se rivolto verso l’eternità, dona pace e gioia che non dipendono più dai confini del mondo del lavoro, della famiglia, degli obiettivi materiali e relazionali.
Nella pagina 490, 13.8, versi 8-12, Sri Krna esprime che: “L’umiltà, la modestia, la non-violenza, la tolleranza, la semplicità, l’atto di avvicinare un maestro spirituale autentico, la purezza, la costanza, il controllo di sé, la rinuncia agli oggetti di piacere dei sensi, la libertà dal falso ego, la percezione che nascita, malattia, vecchiaia e morte sono mali funesti, il distacco dai legami familiari, l’equanimità in ogni situazione, piacevole o dolorosa, e la devozione pura e assidua per Me, il desiderio di vivere in luoghi solitari e il disinteresse per la società materialistica, il riconoscimento dell’importanza della realizzazione spirituale e la ricerca filosofica della Verità Assoluta – dichiaro che l’insieme di queste componenti forma la conoscenza e qualsiasi elemento che non ne sia parte è ignoranza.”
Questi concetti in successione sono i pilastri interni di un essere umano che ha sviluppato un’intelligenza orientata a compiere la via della realizzazione spirituale.
Lo yoga è il mezzo per iniziare ad agire con questi punti di riferimento, instaurando una relazione d’amore con il Divino e con la parte divina che c’è in ognuno di noi, vivendo serenamente.
E cosa meglio può descrivere questa relazione d’amore se non la relazione tra Sri Krna e Arjuna, tra il Divino che descrive personalmente la vera via della pace al suo amato essere umano.
La Bhagavad Gita termina con Arjuna che esclama di essere fuori dall’illusione, di essere determinato e libero di compiere il proprio dovere per volontà di un’energia superiore.
Conclusione
Un’applicazione pratica degli insegnamenti di Sri Krsna per il lettore è l’agire consapevole senza porsi aspettative, cercare di svolgere le attività della giornata rimanendo presenti e coltivando la gratitudine, accettando il bene e il male della vita dedicandosi alla propria crescita spirituale.
La lettura della Bhagavad Gita dona un nuovo modo di intendere la propria esistenza e conferisce un senso di profonda libertà.
Articolo di Benedetta Vignati (psicologa del benessere e maestra di yoga e mindfulness)
Fonte: https://www.meditazionezen.it/bhagavad-gita/
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