Mantieni un Tocco Leggero in Tutto Quello che Fai
di Pietro Thea
“Mantieni un tocco leggero in tutto ciò che fai, come il volo di una farfalla o una brezza estiva. Che differenza farebbe, non solo per te, ma anche per chi ti sta intorno”. (Eileen Caddy – “Il mio volo verso la libertà”)
Circa 30 anni fa, mentre seguivo un ritiro di insegnamenti presso un centro Tibetano, mi sono accorto per la prima volta di quanto, soprattutto noi occidentali, rischiamo di diventare seriosi, un po’ come “beghine da chiesa”, quando intraprendiamo un cammino spirituale.
Il ritiro era condotto da un monaco Tibetano sempre molto allegro: anche quando conduceva rituali elaborati o insegnamenti complessi, scherzava e manteneva un atteggiamento “leggero”. Il monaco dava insegnamenti in tibetano, poi c’era la traduzione in inglese, e quindi la traduzione in italiano: tutto era un po’ macchinoso e si perdeva certamente la freschezza di ciò che diceva.
Durante gli insegnamenti, di tanto in tanto, il monaco scoppiava a ridere con gusto, in modo intenso, aperto e spontaneo, ma dei circa duecento partecipanti al ritiro solo io e forse altri 3 o 4 ridevamo, contagiati dal lama: gli altri aspettavano compiti la traduzione in inglese e poi quella in italiano… e alla fine quasi nessuno rideva. Durante il processo di traduzione andava perso il “momento” e lo “spirito” della risata: ma soprattutto ero lo “spirito” dei partecipanti al ritiro che non era appropriato, che era stato perso.
Chogyam Trungpa descrive la cosa in questo modo: “Il problema è che quando cominciamo a comprendere la potenziale bontà dentro di noi, spesso prendiamo questa scoperta troppo seriamente. Possiamo uccidere o morire per la bontà; la vogliamo in modo errato. Quello che manca è il senso dell’umorismo. Umorismo qui non significa raccontare barzellette, fare il buffone o criticare gli altri e ridere di loro. Un genuino senso dell’umorismo consiste nell’avere un tocco lieve: non sbattere la realtà sul pavimento ma apprezzarla con tocco lieve. La base della visione di Shambhala consiste nel riscoprire questo perfetto e reale senso dell’umorismo, questo lieve tocco di apprezzamento”. (Chogyam Trungpa – “Shambhala La via sacra del guerriero”)
C’è una difficoltà nel comprendere questo atteggiamento, questo “lieve tocco di apprezzamento”, che è mostrata anche dal fatto che, perlomeno nelle lingue occidentali, non esiste una parola unica per indicarlo. Per comprendere meglio possiamo iniziare provando a descrivere ciò che non è:
– certamente è molto diverso dall’arroganza, seriosità e ostentata sicurezza che spesso si nota nelle persone di potere e/o nelle persone che hanno una grande conoscenza intellettuale;
– non è nemmeno il settarismo, il fondamentalismo o l’atteggiamento da “beghine da chiesa” che si può riscontrare, purtroppo con una certa frequenza, in chi segue un cammino religioso;
– ed è molto diverso anche dalla grossolanità e grettezza che spesso si riscontra nella vita delle persone che sono totalmente guidate dalla bramosia per le cose materiali.
Benché sia una cosa difficile da descrivere a parole, nello stesso tempo questa qualità si può riscontrare facilmente nella vita di tutti i giorni, per esempio nella naturale capacità di auto ironia di certe persone, oppure nella delicatezza e gentilezza che traspare in certi maestri spirituali, o anche nella freschezza e giocosità dei bambini, qualità che spesso perdiamo nell’età adulta.
Sia nella nostra vita che nella pratica spirituale occorre riscoprire un modo leggero e giocoso di fare le cose, come il bambino che tira la palla contro il muro e si diverte senza fare niente di speciale: liberi dall’ansia del risultato e dalla frenesia del fare possiamo riscoprire che è del tutto controproducente “spingere la corrente”, come si dice nel Taoismo. Anche nelle relazioni con gli altri, questa qualità non invasiva, questa delicatezza assume una grande importanza: ci permette di stabilire relazioni profonde che sono al contempo rispettose dello spazio e della libertà altrui.
Per quanto riguarda la pratica contemplativa, Stephen Batchelor, con molta efficacia, ci fornisce la metafora dell’ape per farci comprendere come proprio attraverso questo tocco leggero il praticante arriva all’essenza delle cose: “E’ la metafora in cui il praticante è raffigurato come un’ape che estrae il nettare dai fiori, per mostrare che il monaco o in generale il praticante è qualcuno che atterra molto delicatamente nelle situazioni, che avvicina il fiore delle situazioni con grande delicatezza, ma nello stesso tempo è capace di penetrarle fino al cuore, per comprendere e per attingere da ciò che è essenziale. Quindi, è una immagine di distacco, ma di un genere di distacco che permette un profondo coinvolgimento. E una volta che l’essenziale è stato toccato o attinto dalla situazione, allora l’ape si allontana, senza lasciare traccia, né orma della sua visita. È la chiara raffigurazione di una persona che vive sul sentiero o sul cammino della vacuità“. (Stephen Batchelor – “La vacuità nell’insegnamento di Nagarjuna”)
Quando non interferiamo con l’esperienza che stiamo vivendo, quando non manipoliamo la situazione, allora abbiamo la possibilità di conoscerla in profondità. Questa conoscenza diretta, intuitiva si manifesta quando c’è un atteggiamento di gentilezza, di rispetto, una modalità non separativa, non analitica di mettersi in relazione con la nostra esperienza, e più in generale con la Natura.
Alan Watts mette in evidenza molto bene questo atteggiamento quando dice: “La profondità si conosce solo quando essa si rivela e sfugge sempre alla mente argomentativa. … Il rispetto per l’ignoto è l’atteggiamento di coloro che, invece di violentare la natura, la corteggiano finché non è essa stessa a concedersi. Ma quel che essa dona, anche allora, non è la fredda chiarezza di una superficie, ma la calda intimità di un corpo – un mistero che non è semplicemente negazione, vuota assenza di conoscenza, ma quella sostanza positiva che chiamiamo ‘meraviglioso’. … Il mondo naturale, quindi, rivela il suo contenuto, la pienezza delle sue meraviglie proprio quando il rispetto ci trattiene dall’investigarlo sminuzzandolo in tante astrazioni. Se devo attraversare ogni orizzonte per trovare quel che c’è al di là, non apprezzerò mai la vera profondità del cielo intravisto tra gli alberi sulla curva di una collina”. (Alan W. Watts – “Uomo Natura Donna”)
In un cammino di ricerca spirituale, in una via contemplativa c’è certamente un aspetto che possiamo definire attivo, e che si caratterizza, ad esempio, attraverso qualità come l’interesse, la curiosità, l’esplorazione e la riflessione nei confronti dell’esperienza immediata, come anche l’energia, l’entusiasmo e la continuità che portiamo nella nostra pratica, oppure anche una sensazione di fiducia e di apertura nei confronti della totalità della Vita.
Però insieme a questo elemento attivo, c’è un altro aspetto forse anche più importante che possiamo definire come ricettivo: invece di essere in conflitto, in lotta oppure di separarci o negare le nostre esperienze, coltiviamo l’apertura, la sensibilità, l’essere in contatto, in relazione con ciò che viviamo, nutrendo un atteggiamento di rispetto, delicatezza, gentilezza e amicizia; è proprio questo “lieve tocco di apprezzamento”che permette il fiorire della tranquillità e spaziosità della mente-cuore, e che ci permette di riscoprire ed entrare in contatto con la meraviglia della vita, la bellezza e lo stupore dell’essere, insieme ad una sensazione di gioia, di appagamento interiore che è descritta molto bene dalla seguente poesia:
In primavera centinaia di fiori
In autunno una luna del raccolto
D’estate una brezza fresca
D’inverno ti accompagna la neve
Se non hai la mente ingombra di cose inutili
ogni stagione è per te una buona stagione.
Articolo di Pietro Thea (www.sedendoquietamente.org – pietrothea@gmail.com)
Fonte: https://www.matrika.co/mantieni-un-tocco-leggero-in-tutto-quello-che-fai/
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