di Giovanni Della Casa
Siamo nell’epoca ignobile della bruttezza che pervade ogni singolo istante della vita, una bruttezza estetica a cui corrisponde, fatalmente, una bruttezza etica: la decadenza dell’occidente travalica la forma esteriore e si fa sostanza, riempiendo di sé tutti gli ambiti del vivere.
È sufficiente uscire di casa per esserne pervasi, lo squallore estetico avvolge tutto in uno spettacolo indegno, basta guardarsi intorno per accorgersi di essere circondati, per esempio, da una miriade di uomini e donne il cui aspetto, anche esteriore, sembra essere stato influenzato da uno stregone che, in preda ad uno sghiribizzo, si sia divertito a trasformare l’inconsistenza interiore, dandogli una forma estetica, in modo che questa possa essere scorta: sciatteria? Mancanza di gusto? Approssimazione cromatica? Magari!
No, l’estetica del brutto va ben oltre certi parametri ancora rispondenti a canoni estetici, perché qui regna l’assenza, siamo di fronte ad una vera e propria panoplia dell’orrido: tutto ebbe inizio dai malefici anni ’60 e poi è proseguito con lo “stile casual”, che chiamarlo “stile alla cazzo di cane” sembrava brutto, fino a giungere al parossismo di oggi, un pullulare di tute informi, improbabili scarponi, osceni zatteroni, ridicole borsine da sera, abitini tanto succinti da coprire giusto le pudenda perché, essendo l’essere umano merce, tutto deve essere ben esposto, giacchette tanto striminzite e risicate da sembrare…
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