Il Risveglio e la “Virtù”
di Mariabianca Carelli
L’Individuo Risvegliato che ha sviluppato il pensiero e che si è aperto al concetto di “connessione globale”, avverte chiaramente la sua responsabilità, appunto, “globale” e inizia a comprendere che, per meglio servire, dovrà sviluppare le “virtù”.
“Quante persone riflettono veramente sul significato del proprio passaggio sulla terra? Sì, quanti si chiedono: ‘Cosa ci faccio qui? Perché sono qui?’ I più si comportano come se non avessero niente di meglio da fare che cercare di trascorrere il tempo nel modo più piacevole possibile. Pochissimi sono coscienti che le poche decine di anni date loro da vivere vanno considerate come un tirocinio. Sì, un tirocinio durante il quale il Cielo chiede agli esseri umani di imparare e di migliorare se stessi, ossia di lavorare sul proprio carattere, poiché questa è la sola cosa che rimarrà loro e che porteranno con sé nell’altro mondo… Il discepolo di una Scuola iniziatica comprende di dover lavorare su alcune qualità che rimarranno in suo possesso in eterno; e quando ritornerà, in un’altra incarnazione, il Cielo gli darà condizioni migliori e mezzi più efficaci per continuare il suo lavoro”. (Omraam Mikhaël Aïvanhov, Pensieri quotidiani)
Il termine “virtù”, così alto e nobile, oggi appare spesso vagamente fuori tempo e talvolta retorico: si preferiscono termini come abilità, capacità, o, al massimo qualità morali (da morem, costume, comportamento). “Virtus” deriva da vir, uomo, e indicava presso i latini le qualità del vero Uomo secondo i valori predominanti del tempo, e cioè forza, ardimento in guerra, coraggio nella vita pubblica e privata, fedeltà alla Patria e al proprio duce, abilità nel dominare il mondo, soprattutto quello esterno. Il termine homo indicava invece l’uomo in senso generico, comunemente inteso.
Con il Cristianesimo, che ha svolto spesso il compito di “interiorizzare”, incivilendoli, valori e lessici, il termine ha subito un mutamento nel suo significato più profondo e di “orientamento”, rivolgendosi all’interno: “virtuosus” non è più l’individuo forte e potente, rivolto al dominio dell’esterno ma l’uomo nuovo, che combatte i suoi draghi interiori per favorire la nascita del Cristo all’interno della sua anima.
Da allora, “vir” non fu più il valido “miles” che combatte “fuori”, sprezzando il pericolo e mettendo a repentaglio la sua stessa vita per il trionfo di Roma ma il “soldato di Cristo” che combatte, oltre che fuori, soprattutto “dentro” di sé per eliminare ostacoli e dissipare ombre affinché prevalga la Luce spirituale. Quest’ultimo senso del termine – più o meno impregnato di sacralità – è rimasto fino ad oggi: siamo tutti eredi dell’interiorizzazione incivilente operata dal Cristianesimo.
Per il discepolo, le virtù sono, ieri come oggi, i riferimenti di base costanti che sostengono la sua focalizzazione nell’Ideale e al tempo stesso il fine del suo Lavoro interiore; una volta realizzate per buona parte, esse diventano qualità propedeutiche indispensabili per l’attuazione di ogni Lavoro evolutivo.
Le virtù sono, in sintesi, raggiungimenti dell’anima che sempre più risponde alla voce del Sé superiore, sostituendo gradualmente il superiore all’inferiore. Il processo non può avvenire se “imposto dall’esterno”, poiché il risultato sfocerebbe in comportamenti superficiali, temporanei o farisaici: esso dovrà essere maieutico e avvenire in concordanza con elevazioni interiori stabilizzate e irrevocabili, dopo le quali i “vizi” con cui la persona ha convissuto prima della con-versione appaiono chiaramente disgreganti e portatori di morte.
L’aspirante-studente comprenderà con sempre maggiore chiarezza che solo migliorando se stesso potrà “svolgere la sua parte” per cooperare a fare della Terra un “Pianeta sacro”; il suo impegno sarà proporzionale allo sviluppo del suo senso di amore e responsabilità per il Pianeta. Avvertendo con sempre maggiore intensità il “grido di dolore” dell’Umanità, sentirà la conoscenza e la trasformazione di sé come la sua forma essenziale e “propedeutica” di Servizio: il suo Lavoro di discepolo effettivo (“discepolo accettato”, cfr. “Il discepolato nella Nuova Era di Alica A. Bailey) sarà tanto più esteso ed efficace, quanto più lo sarà la sua vibrazione, che si eleva purificando pensieri, moventi e azioni.
All’inizio, e per lungo tempo, l’aspirante-studente – pur avvertendo sotterraneamente la necessità del Lavoro – tenterà di evitare lo sforzo della tras-mutazione dolorosa dei propri lati oscuri con i consueti mezzi della personalità: rifiuto di parti di sé, rabbia e negazione della realtà, tolleranza, assoluzioni e giustificazioni, compromessi, autocompiacimento riguardo ai propri vizi, spesso ritenuti “simpatici” o “accettabili” ecc.)
Il processo, fermo e costante (bisogna “avere pazienza con se stessi”, consigliano gli Istruttori!) consigliato anche da Assagioli, è quello della “sostituzione” graduale di nuovi pensieri e nuovi comportamenti a vecchi copioni inconsci, ripetitivi e distruttivi, facendo attenzione a usare frasi affermative, prive di “non”: l’inconscio obbedisce automaticamente ai termini che pronunciamo e agisce di conseguenza! Così, ad es., invece di dirsi, “non voglio più essere fragile e timoroso” ci si potrà rivolgere alla propria sub-personalità “da coniglio” affermando “divento sempre più coraggioso, il coraggio fa sempre più parte di me”, e “sentendo” realmente dentro di sé il cambiamento come possibile e costruttivo.
Mediatrice indispensabile nel processo è la Grazia: il vizio si dissipa e svanisce al cospetto del cuore puro del discepolo invocante, più che se egli si impegnasse in una dura lotta solitaria e “solamente umana”. Indicativo, questo proposito, il simbolismo dell’ottava fatica di Ercole, l’uccisione dell’idra di Lerna: il discepolo-Ercole, combatte con rabbia e irruenza ma trionfa infine solo quando, comprendendo che “ci si eleva inginocchiandosi”, invoca la Grazia come alleata.
Tratto da: “Sul Sentiero III – L’aspirante e l’alchimia interiore” di Mariabianca Carelli
Ringraziamo l’autrice per averci inviato questi meravigliosi scritti. (Ne seguiranno altri…)
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