Pensiero, Convinzione e “Fede”
di Mariabianca Carelli
La “pratica” del pensiero porta via via a formare delle “convinzioni”, sulle quali spesso basiamo i contenuti del nostro mondo interiore, le nostre vite e le nostre scelte. Nel momento in cui passiamo da una concezione “casuale” dell’esistenza ad una visione “causale”, ricerchiamo una “convinzione” o una “fede” a cui ancorare la nostra responsabilità e il nostro “fare”.
Ci rendiamo conto allora che vi è una convinzione “ereditata dalle convenzioni”, per cui si afferma, in buona fede, di essere convinti di comportamenti, o di attività che, ad un’indagine più approfondita, si rivelano non scelti con consapevolezza, ma solo ricavati e assimilati più o meno acriticamente dal contesto.
Tale è la “convinzione” dell’uomo ai primi stadi del Sentiero, che non possiede una vera e propria individualità autonoma. Ma ci si può avvicinare ad una convinzione più adulta quando, venuti meno gli appigli delle religioni e dei condizionamenti sociali e familiari, ci si ritrova in una terra di nessuno. È allora che si può parlare realmente di “scelte consapevoli”, nate da una convinzione ponderata nell’approfondimento.
È questa la convinzione del Pensatore, che ha sviluppato autonomia critica, e che non è esente da dubbi: “La fede non è altro che una fuga dal dubbio. Occorre molto coraggio per vivere nel dubbio. Non sfuggire il dubbio è una delle qualità essenziali di un ricercatore. La fede ottunde il dubbio, dà sollievo, procura la falsa sensazione di conoscere anche se, in profondità, resta la sensazione di non sapere nulla. Ragion per cui il fedele si sdoppia in due livelli slegati tra loro: in superficie crede in ciò che pensa e in ciò che proietta di se stesso nella vita. Sotto, come una piaga, resta la sua realtà, il dubbio che egli nega, ma che non potrà mai essere sradicato definitivamente. Esiste ed è parte della sua realtà. Ecco perché il fedele vive sempre in uno stato di continuo conflitto, è schizofrenico, basta un’inezia che si contrapponga al suo credo, e subito riaffiora il dubbio.” (Osho)
La convinzione può nascere, a questo punto:
– da una chiara visione interiore, maturata dal confronto “intellettuale” tra diverse teorie valutate scientificamente (es. comparazioni tra scoperte scientifiche e affermazioni teosofiche);
– semplicemente, dall’adesione immediata e “riconosciuta come vera” a un impianto teorico che si sente affine e particolarmente trainante.
La convinzione, come il “dire”, per essere coerente, deve essere tradotto in “fare”. La prassi può riguardare un “fare “ quotidiano, routinario e materiale, volto all’utile immediato; la convinzione è, in tal caso, per la maggior parte in relazione alla fiducia nelle possibilità del compimento efficace dell’azione.
Il “fare” può assumere contenuti e valori più alti, divenire, cioè, un “fare profetico” volto all’Utile dell’umanità, al maggior Bene per tutti; pensiamo alle azioni di riformatori sociali e religiosi, utopisti, scienziati dotati d’intuizione, letterati di genio, poeti (da “poiéo”, faccio). In tal caso, la convinzione sarà più attentamente valutata dai partecipanti all’azione ed esaminata da vari punti di vista: dell’efficacia, dell’etica, delle relazioni implicate, del lavoro richiesto e dell’impegno finanziario…
Una Prassi “convincente” per essere tale dovrà:
– proporre un chiaro progetto delle attività,
– manifestare il fine e le “fonti” ideologiche del progetto,
– proporre la condivisione del progetto ad altri, seriamente motivati,
– condividere l’impiego di tempo, di focalizzazione e di impegno economico con gli altri, ciascuno secondo le sue possibilità,
– dare e richiedere chiarezza e trasparenza per quanto riguarda:
a) gli obiettivi, che dovranno essere razionali e comprensibili
b) le tappe per realizzarli
c) le procedure
d) la funzione e il ruolo di ciascuno
e) le relazioni tra le persone
Venendo meno questi semplici requisiti, il fare, non più connesso alla convinzione, si ridurrebbe a velleitarismo o gregarismo e determinerebbe disorientamento, confusione, difficoltà di condivisione e la sensazione di “essere venuti meno a se stessi” per aderire a qualcosa di esterno e/o di poco chiaro e/o che non si è pronti a comprendere.
Accade spesso che aspiranti-ricercatori avvertano lo stimolo incalzante a “fare”, ma sono al tempo stesso paralizzati da un senso di scarsa convinzione nelle proprie azioni e, talvolta, da una sensazione di “relativismo” e/o di “vacuità del tutto”; pertanto molti cercano, pur di agire, di accantonare il problema della “convinzione” rifugiandosi nell’ “obbedienza” (è più semplice obbedire che essere convinti!). Convincere deriva da “con” e “vincere”, è quindi legato al vincere e alla vittoria: ma da cosa, ci si chiede, si può essere vinti se non dall’evidenza o da una certezza sperimentata?
Ad alcuni fa paura o sembra ingenuamente illogico e infantilmente “romantico” puntare, come in un gioco rischioso, la cosa più importante che possiedono, la propria energia, su una probabilità, o sul “male minore”.
Considerano non accettabili eticamente i rischi autodistruttivi alla Hemingway e i giochi d’azzardo, ancor meno quelli giocati con l’esistenza, propria e degli altri (la fede come “salto nel buio”): non ci si può dedicare “con ardore”, con sforzo, con sacrificio, con amore, ad un’Opera senza sentirla come “piena di verità”, carica di senso, utile all’evoluzione.
In verità, più che tendere ad una razionale “convinzione”, parola ambigua, molti aspiranti-ricercatori “invidiano” chi ha “fede”, e quindi ardore; amano inoltre il termine “certezza”, che definisce la “verità” conclusiva di una tappa del cammino. Tale punto d’arrivo è pur sempre ovviamente parziale e transitorio, se si considera l’intero percorso.
In questa nuova consapevolezza, il termine “Certezza” evoca azione lucida e chiara, priva di dubbi “paludosi”; essa genera, senza sforzo:
– un “fare” consapevole, intuitivo, rapido e attento (“si sa e si fa”);
– una virtù umile e poco decantata, ma forte e vittoriosa: la Coerenza, che non va comunque confusa con rigidità, orgoglio e fanatismo.
Afferma a questo proposito il Maestro Aïvanhov: “Qualcuno afferma con fierezza: ‘Io ho delle convinzioni e le difendo!’ In effetti, lo si vede battagliare coraggiosamente contro coloro che non sono del suo avviso. Non si può rimproverare alle persone di avere delle convinzioni, ma qualche volta dovrebbero chiedersi se esse valgano, e se non sarebbe utile riesaminarle. Dal punto di vista della saggezza, l’atteggiamento di certe ‘persone di fede’ è piuttosto di orgoglio o di stupidità, e le conseguenze possono essere terribili: il fanatismo, la crudeltà. Si può essere convinti e commettere i peggiori errori: il fatto di essere convinti non trasformerà un’opinione erronea in una verità. ‘Ma allora – mi direte – come facciamo a sapere quanto valgono le nostre convinzioni?’ Se esse vi rendono migliori, più generosi, più lucidi, più comprensivi nei confronti degli altri, allora conservatele. Ma se non è questo il caso, non avete nulla di cui andare fieri: cercate di rivederle con severità.” (Omraam Mikhaël Aïvanhov, Pensieri quotidiani).
Tratto da: “Sul Sentiero III – L’aspirante e l’alchimia interiore” di Mariabianca Carelli
Ringraziamo l’autrice per averci inviato questi meravigliosi scritti. (Ne seguiranno altri…)
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