Serendipità e “Lavoro”
di Mariabianca Carelli
Sul Sentiero si impara ad avvicinarsi all’esistenza con serendipità, concetto ispirato dal termine coniato da Horace Walpole, con il significato di ricerca libera da preconcetti e da schematismi limitanti.
Come nella descrizione di Walpole, i figli del re delle isole di Serendip percorrevano il mondo senza meta e con purezza di cuore, e proprio per questo motivo si imbattevano in ogni sorta di esperienze meravigliose, così il ricercatore spirituale basa il proprio lavoro non sulle discriminazioni ma sull’entusiasmo e sull’Amore; non sulla ricerca di meriti personali ma sull’altruismo, sul coraggio e sull’aspirazione alla Conoscenza; non sulla frammentazione ma sull’Unità della Vita, riconosciuta dalla Mente e sentita dal Cuore.
In tal senso, il termine non indica soltanto lo scoprire “fortunatamente” una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra: sottintende che, per cogliere l’indizio che porterà alla scoperta, occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative. Questo implica fiducia nella vita, speranza, capacità di abbandono e, al tempo stesso, disponibilità ad effettuare delle scelte e ad assumersi responsabilità.
Così, quando si è sul Sentiero, avendo compreso che il principale compito di ogni essere umano è quello di perseguire la propria evoluzione e di sostenere quella degli altri, si potrà semplificare la propria vita accordando i propri ritmi a quelli naturali; abbandonare inutili zavorre che sottraggono tempo ed energie al “Lavoro”; ricercare attività e perseguire interessi più in sintonia con il proprio percorso interiore.
A questo punto del cammino, si vede infatti con sempre maggiore chiarezza che la società contemporanea porta gli individui a scegliere comportamenti disarmonici: fretta, ricerca di una sempre maggiore “velocità” in tutti i campi dell’agire, bombardamento di stimoli visivi e sonori squilibranti e disarmonizzanti, tecnologia onnipresente che accorcia tempi e spazi talvolta in modo non necessario. All’opposto, mancano “contenitori” idonei ad accogliere e modulare energie che potrebbero essere liberate “a favore dell’evoluzione”: luoghi di creatività, momenti di scambi interpersonali significativi, aggregazioni costruttive, stimoli all’operatività fraterna.
L’uomo dell’Età dell’Acquario avverte sempre più chiaramente di essere chiamato a svolgere la sua opera di purificazione e trasformazione. Aurobindo afferma che la materia va pestata, tritata con paziente lavoro; i risultati si ottengono, ma sono misurati e lenti, proprio come nell’opera alchemica. Assagioli richiede all’uomo risvegliato di coordinare, con paziente lavoro, i vari aspetti dell’ “animo molteplice” intorno al Sé, centro unificatore che, se sorretto da una forte e vigile Volontà, può organizzare armoniosamente la molteplicità dei contenuti e delle forze contrastanti dell’individuo.
E il Maestro Aïvanhov parla con chiarezza di “laboratorio interiore” nel quale ciascuno di noi può distillare consapevolezza e saggezza: “I laboratori nei quali gli scienziati fanno le loro ricerche sono straordinariamente equipaggiati; ma dovete sapere che la natura ha dato a tutti, al momento della nascita, un ‘laboratorio personale’: noi stessi, il nostro corpo, il nostro psichismo, il cuore, l’intelletto, l’anima, lo spirito. Non è dunque solo all’esterno di se stessi che ci si può dedicare a degli esperimenti; anche nel proprio intimo, con le sensazioni, i sentimenti e i pensieri, ciascuno può fare delle ricerche… e delle scoperte. Ognuno di voi deve prendere coscienza di possedere dentro di sé un laboratorio straordinario in cui non manca niente: tutte le sostanze e tutti gli elementi vi sono rappresentati, e vi si può lavorare meglio ancora che nei laboratori del mondo esterno”. (O. M. Aïvanhov, Pensieri quotidiani)
Il Lavoro comincia con l’osservazione di sé e il controllo dell’emotività; finchè la mente non è resa stabile, ogni sforzo viene vanificato. Edward Bach, medico inglese, riteneva che l’Uomo (microcosmo) avesse perso il senso dell’appartenenza al Tutto (macrocosmo) e che il suo agire contro il senso dell’unità provocasse la malattia. Le cause delle malattie dell’uomo vanno ricercate in sette atteggiamenti “separativi”: l’orgoglio, la crudeltà, l’odio, l’egoismo, l’ignoranza, l’instabilità e l’avidità. Ciascuno di essi può essere ricondotto a un rifiuto o ad una opposizione nei confronti dell’Unità e si può tras-mutare sviluppando l’Amore universale. Ritenendo che le anime incarnate sulla Terra abbiano il Compito di evolversi secondo le direttive del Sé superiore, fa risalire la malattia fisica all’abbandono del disegno iniziale dell’anima: “…Il conflitto sorge quando la nostra personalità si distacca dalla vita tracciata dall’Anima, sia per influsso delle nostre passioni, sia perché suggestionata da altri. Questo conflitto è la causa principale della malattia e dell’insoddisfazione”. (E. Bach, Guarisci te stesso)
L’approccio alchemico richiede che costantemente, con un lavoro protratto nel tempo, l’intelletto e la ragione siano messi al servizio dell’Unità, attraverso il perseguimento del Bene, del Bello e del Vero, poiché “siamo noi la materia e lo spirito, l’eterno conflitto”. Nella Bhagavad Gita, Arjuna, rivolgendosi a Krishna, dichiara: “Perché l’insieme delle forze psichiche è irrequieto, o Krishna, è dotato di forza disgregatrice, è forte, è difficile da rimuovere. La possibilità di controllarlo penso sia tanto poco agevole quanto poco lo è controllare il vento”. (Bhagavad Gita, canto VI)
Nel corso del “Lavoro”, esperienze e percorsi avvertiti come significativi comportano mutamenti di coscienza sempre più evidenti:
– ciò che è “di routine” apporta nuove consapevolezze;
– la possessività si espande in “calore non possessivo”.
– il lavoro consueto si trasfigura in Servizio;
– la vita di relazione diventa occasione di perfezionamento;
– il disagio diventa opportunità di crescere in umiltà e grazia;
– il distacco emotivo si muta in empatia;
– il narcisismo cede il posto all’umiltà dell’ascolto;
– la supponenza si diluisce in genuinità e vicinanza emotiva;
– il controllo si dilata in fiducia;
– ciò che è inerte rivela aspetti vibranti di vita.
Si apprende ad “agire”, invece che “reagire” in modo istintivo e inconsapevole; il vivere stesso, sottratto quanto più possibile all’improvvisazione e all’irrazionalità delle emozioni incontrollate, diventa opportunità per apprendere, appunto, “l’arte di vivere”.
Nel XVII secolo affermava Gerhard Dorn: “Trasformatevi in pietre filosofali viventi!”. Quando siamo molto giovani, rispondiamo con freschezza ad ogni nuovo stimolo, perché non abbiamo nulla nella nostra vita con cui paragonarlo. Diventando adulti, smettiamo di rispondere in modo nuovo e creativo alle nuove esperienze e iniziamo a reagire sulla base di abitudini e condizionamenti. Anziché scoprire il nuovo, lo associamo al vecchio e così reagiamo non all’esperienza presente, ma ai nostri ricordi o a esperienze simili passate. Nel corso del “Lavoro” intrapreso sul Sentiero del ritorno, sentiamo inadeguato questo modo di operare con le nostre esperienze e i nostri sentimenti e miriamo a trasformarli, mutandone segno e vibrazione: “Se siete veramente seri, allora quando osservate, il vecchio impulso – la ripetizione di vecchi schemi, di vecchi modi di pensare, di vivere e di agire – esso finisce. Siete abbastanza seri da voler scoprire un sistema di vita in cui non esista tutto questo scompiglio, questa miseria e questo dolore?” (Krishnamurti, La domanda impossibile)
Sappiamo che ogni pensiero si trasforma in un’energia e in una vibrazione particolare; il compito quotidiano sarà pertanto quello di osservare e poi trasformare le nostre emozioni inferiori in energie nobili ed elevate, ovvero di trasformare il piombo dei sentimenti vili, nell’oro delle virtù. Così, ad esempio, quando ci assale la collera, possiamo avvertirne l’insorgere, sentirne la vibrazione distruttiva, valutarne le ripercussioni dolorose e, con un atto di volontà, “cambiare di segno” a questa energia focalizzandoci su pensieri di pace.
È importante, a questo proposito, rafforzare la concentrazione; sorprendentemente, più diventiamo abili a concentrarci su un certo pensiero scelto da noi stessi, e a tenerlo saldo, più saremo capaci di liberare la mente da pensieri indesiderati e di indirizzare le energie nella direzione voluta. Il successo raggiunto ci renderà più forti perché più consapevoli che possiamo, se lo vogliamo, diventare artefici dei nostri pensieri, e quindi delle nostre vite: “L’assenza di attenzione è la strada verso la morte. Le persone vigili non muoiono, quelle immemori è come se fossero già morte”. (Dhammapada)
Tratto da: “Sul Sentiero II – L’aspirante e l’alchimia interiore” di Mariabianca Carelli
Ringraziamo l’autrice per averci inviato questi meravigliosi scritti. (Ne seguiranno altri…)
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