Fuga dal dolore
di Roberto Senesi
“Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere”. Kahalil Gibran
Ero appena un ragazzino, soffrivo per la fine di una storia sentimentale, per l’esito di qualche progetto finito male o mai partito, per una delusione legata ad un’aspettativa di qualche genere e l’esortazione di parenti, amici e conoscenti era immancabilmente la stessa…devi reagire, devi uscire di casa, vedere gente, ubriacarti se necessario. Tutto pur di non pensare al dolore, rifuggirlo, far finta che non esista.
Un atteggiamento tipico della cosiddetta “società moderna”, all’interno della quale il dolore viene visto e interpretato, come la più grossa sciagura che possa mai capitare nella vita di un essere umano. Esso è infatti uno di quegli aspetti dell’esistenza che ci rifiutiamo categoricamente di accettare, con tutte le forze a nostra disposizione, una sorta di aberrazione, di errore di percorso del tutto privo di qualsivoglia utilità all’interno del nostro passaggio su questo pianeta. Paradossalmente in alcuni casi (in realtà, molti di più di quanti un terrestre medio sia portato ad immaginare), si preferirebbe morire piuttosto che soffrire, e in effetti il gran numero di suicidi degli ultimi anni è alquanto indicativo a supporto di questa affermazione.
La quasi totalità delle nostre azioni meccaniche – poiché mi dispiace affondare la lama nella carne, ma a dispetto della nostra illusione di compiere delle scelte consapevoli, sappiate che in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, ci si limita semplicemente a re-agire in base a programmi accettati e consolidati all’interno – è improntata in direzione della ricerca del piacere e della fuga dal dolore.
Non sappiamo affrontarlo, non vogliamo, in definitiva non ne vediamo il senso e l’utilità, e quasi tutti gli esempi che abbiamo intorno ci indicano che quando questo arriva, la miglior soluzione è la fuga. Il dolore rivela a noi stessi in tutto il nostro sconsiderato infantilismo, la nostra totale incapacità di assumerci la responsabilità di ciò che proviamo dentro di noi, il nostro nevrotico tentativo di delegare ancora una volta a qualcuno o qualcosa, la funzione genitoriale di assistenza e protezione, da quelli che percepiamo come pericoli.
La maggior parte delle identificazioni sono palliativi al dolore… l’alcool, le droghe, ogni tipo di militanza. Persino l’attaccamento a persone, cose e situazioni, ricalca fedelmente l’abitudine innata e compulsiva di proiettare l’immagine ed il valore che diamo a noi stessi, su qualcosa di esteriore. Tutti noi facciamo continuamente esperienza della sofferenza che si prova nel perdere ciò che riteniamo più importante nel contesto della nostra vita, ciò a cui attribuiamo maggior valore, ma nonostante i ripetuti attriti ai quali veniamo costantemente sottoposti, facciamo un’enorme fatica ad apprendere la lezione racchiusa in questo genere di stimoli.
Questo accade per delle ragioni ben precise. Se da un lato, tutti si dipingono indistintamente come individui in grado di autodeterminarsi, pronti ad affermare senza esitazione alcuna di essere votati alla libertà e all’indipendenza, dall’altro, basta osservare il comportamento tipico dell’uomo medio, per avere un quadro esatto e senza la necessità di un dottorato in psicologia, di come stanno realmente le cose.
L’uomo è segretamente innamorato delle proprie catene e della propria sofferenza, tant’è che cerca continuamente di giustificarla, di difenderla, di razionalizzarla, di nobilitarla! A differenza di quello che la televisione e i giornali vorrebbero farci credere, la libertà non è affatto una condizione che l’uomo acquisisce per diritto di nascita, tutt’altro!
È quanto di più faticoso si possa tentare di conquistare in questa vita e l’ostacolo maggiore al suo ottenimento, è posto dall’uomo stesso, che con le sue innumerevoli paure – il più delle volte ingiustificate e del tutto prive di fondamento – ed il suo bisogno di sicurezze, preferisce di gran lunga restare nel limbo sovraffollato dei nani psicologici piuttosto che divenire adulto, ed è questo il paradosso… cerchiamo di rifuggire il dolore in ogni modo e al tempo stesso gli forniamo nutrimento con la nostra totale e appassionata identificazione.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti, generazioni di uomini-bambini che non sanno minimamente gestire i propri corpi fisico/emotivo/mentale e si aggirano per il pianeta alla disperata ricerca di qualcosa o qualcuno che soddisfi i propri capricci, che dissimuli e nasconda ai propri stessi occhi una malcelata incapacità di fondo, che faccia per loro ciò che essi non sono in grado di fare per se stessi. Un “pianeta scuola” come lo definisce giustamente qualcuno… o meglio un asilo, nella maggior parte dei casi.
Che lo sappiate o meno, siete degli alchimisti venuti sulla terra per trasmutare il vostro piombo in oro, poichè – come sanno bene alcuni saggi – “la sofferenza è la gioia vista di spalle”. Una persona consapevole ringrazia ogni qualvolta che incontra del piombo lungo il proprio cammino, poiché sa che questo è l’unico modo per ottenere qualcosa di più prezioso una volta trasmutato.
Il nostro è un periodo del ciclo evolutivo nel quale i tiepidi non trovano posto e devono decidere in fretta da che parte stare… c’è bisogno di guerrieri dallo spirito indomito e dal cuore aperto, indipendentemente dal sesso a cui appartengono. Essi vestono come noi, mangiano come noi, hanno mariti, mogli e fidanzate, conducono una vita apparentemente normale, con l’unica differenza che non vedono mai problemi ma opportunità, non vedono difetti ma qualità in via di sviluppo, non hanno tempo di ipotizzare e di lamentarsi, poiché vivono costantemente nel presente, consci del fatto che non esiste altro momento che questo. Vedono la bellezza laddove apparentemente non c’è, amano incondizionatamente e senza riserve, poiché sanno che tutto è mutevole e che nulla gli appartiene, nemmeno se stessi!
Ho trascorso la gran parte del mio tempo su questo pianeta soffrendo, e ho prolungato esponenzialmente il tempo necessario alla comprensione, unicamente per ricalcare i percorsi già tracciati e sovraffollati di cui gran parte dei miei coetanei si facevano paladini.
Accettate il dolore con tutta la grazia di cui siete capaci, accoglietelo come si fa con un parente assente da tempo, o un caro amico venuto da lontano. Accompagnatevi con esso, abbracciatelo senza riserve e senza porvi aspettative o scadenze da rispettare. Guardatelo in faccia e dategli il benvenuto, poiché esso è il vostro più grande alleato, il passepartout per il regno della gioia incondizionata, quella solida e duratura che non deriva da ciò che accade all’esterno, da quello che fanno o non fanno gli altri.
Tanto più piombo avete in questo momento, tanto più sarà l’oro che ne ricaverete. L’antidoto per il veleno si ricava dal veleno stesso. Qualunque sia la situazione che state vivendo – per quanto dolorosa possa sembrarvi – sforzatevi quanto più possibile di non rifuggirla, di presenziare con tutto il vostro essere, mentre vi contorcete e vi ripiegate in voi stessi, finché un giorno la gratitudine prenderà il posto della rabbia e della rassegnazione.
Quella stessa rabbia e rassegnazione che derivano dalla sensazione di abbandono da parte del Padre, ma che si raffinano sino a raggiungere una vibrazione più alta, nel momento in cui comprendiamo nel profondo che nessun padre amorevole abbandona mai il proprio figlio, se non per lasciargli il tempo di apprendere la lezione più importante, se non per concedergli l’onere e l’onore di realizzare un bene più grande.
Articolo di Roberto Senesi
Fonte: http://indaco-lasentinella.blogspot.it/2016/01/fuga-dal-dolore.html
grazie…articolo meraviglioso.