I Nemici
di Lorenzo Merlo
La cultura del rispetto è pregna di consapevolezze che culminano nel riconoscere l’altro come un noi stessi in altra forma, tempo e luogo.
Non può emergere dalla burocrazia violentante delle leggi che impedisce di dire negro, cieco o storpio. Tra le vie per incamminarsi verso questo processo cristico c’è quella che si avvia dalla constatazione che tutti siamo quantitativamente differenti e sostanzialmente identici, quando osservati attraverso il potere delle emozioni.
Le emozioni non sorgono da noi. Esse sono energia sciamante che si annoda in noi in funzione del nostro stato, della nostra concezione, delle nostre esigenze e soprattutto del nostro gradiente di consapevolezza in merito alla realtà. Se questa è concepita come esterna a noi si tenderà a culminare nel conflitto, con il supporto, appunto, delle emozioni necessarie. Diversamente, se è vista come una nostra creazione, ne verrà l’assunzione di responsabilità di tutto e il potere di tendere alla serenità.
Nel primo caso, l’orgoglio, l’importanza personale, tanto celebrate dalla cultura liberista, materialista, egoica, positivista, sono i detonatori dei conflitti di qualsivoglia misura, da quelli endogeni esistenziali a quelli esogeni geopolitici. Nel secondo, ci si trova nello stato di emancipazioni dalle gogne elencate nel primo, e quindi con in dote un altro potere, quello di disinnescare le egregore del maligno.
In pratica, se fossimo consapevoli di vivere per un solo istante, sceglieremmo di farlo nella pena o nella beatitudine?
Le emozioni possono essere descritte come mirini o obiettivi. Lenti che obbligano o impongono una vincolante prospettiva sul mondo, sull’altro, su noi. Una specie di tunnel dove non è possibile fare inversione o uscire a piacimento.
Sembra nascano in noi e da noi. Ma questa, è una concezione delle emozioni piuttosto inefficace per escogitare come emanciparsene, per evitare di finire nel tunnel e crederlo tutto.
A questo scopo, è preferibile concepirle come energia latente che, occasionalmente – ma non fortunosamente – ci attraversano o ci catturano, imponendoci una certa prospettiva sul mondo, a mezzo della quale fioriscono le idee e le esigenze, i pensieri e le azioni che spesso chiamiamo di buon senso. Una formula perfetta per separarci dal mondo, dagli altri, dalla presa di coscienza che emozioni differenti, ma di identica natura, stanno catturando i cuori e le menti degli altri. Come detto, un’ideale base di partenza per credere fideisticamente che i nostri valori siano superiori, fino al diritto di sopraffare quelli a noi sconvenienti.
Davanti a un conflitto non disporre delle consapevolezze necessarie per dare per certo e quindi tenere presente la differente emozione delle parti, impone ad entrambe di giudicare e soprattutto di identificarsi con il proprio giudizio. Una condizione la cui natura è simile a un bisturi: la sua esistenza comporta separazione. Da quello stato quindi, appare necessario difendere il mondo racchiuso nel nostro cannocchiale e perciò combattere, e garantire così lo status quo di sofferenza che tutti, a parole, proclami e leggi, vorremmo eludere.
Quando una pari emozione alla nostra attraversa altri individui, le parti tendono ad unirsi, a sentire solidarietà reciproca, a fare corpo. Al contrario se non condivise. Lo si può osservare costantemente. Per esempio in occasione di un gol, quando emeriti sconosciuti, tifosi della medesima squadra, esultano o si rattristano. O quando, all’opposto, cioè se non condivise, anche tra fratelli, amanti e amici la frattura relazionale può spaccare soddisfacenti relazioni.
Un’emozione condivisa aggrega in dimensione variabile. Riconoscersi nella medesima cultura, in una ideologia, religione o passione è essere entro la medesima emozione. Solo un’altra emozione, che rappresenta sostanzialmente un cambio di esigenza, scaccia la precedente e impone altri tunnel. La loro violenza e la loro insistenza ci modificano la visione esterna e lo stato intimo. È in questi termini la verità spirituale dell’insorgenza di malesseri e malattie.
Le emozioni fanno sempre da setaccio dell’infinito. Di tutte le idee pure e imperiture, quelle che, secondo Platone risiedono e compongono l’iperuranio, solo le idonee a sostenere la nostra posizione e identità, quindi stabilità, vengono viste o, apparentemente, scelte. Quelle che, a nostro giudizio, ci mettono in pericolo, che fanno traballare oltre l’accettabile la nostra condizione, non sono viste e, se lo sono, vengono scartate. Qualunque espediente è valido per respingere o accettare. La morale, la coerenza, i valori, le priorità finiscono più o meno facilmente al patibolo, strozzati dal filo rosso della sopravvivenza della nostra moralistico-meschina biografia.
Ma se tutte le idee esistono già, così come la risposta a tutti i perché – per trovarli basta trovare gli arzigogoli del filo rosso delle biografie che li mostrano – va da sé che la nostra selezione è necessariamente parziale, e la nostra realtà o descrizione di essa, nient’altro che autoreferenziale. Parziale in quanto di tutte le infinite ne prendiamo una, o di tutte quelle prese da altri, la nostra è totalmente o parzialmente autoreferenziale, in quanto noi stessi in altro tempo o il prossimo nello stesso tempo, ne estrarremmo altre differenti manciate per descrivere la medesima realtà, a quel punto divenuta un’altra.
Nulla di nuovo, lo hanno detto Humberto Maturana, Kurt Gödel, Platone, Plotino, i Veda, i Toltechi, Hafez, Arthur Schopenhauer, la fisica quantistica (anche se i meccanicisti non ci arrivano), Foucault. Proprio la sintesi di un suo pensiero – la verità è nel discorso – basta a delineare il concetto che la nostra descrizione, il nostro discorso, che seguitiamo a considerare vero e compiuto nel momento in cui lo affermiamo, non è che una suggestione, il risultato di un incantesimo, cioè di un recinto, gogna o emozione che fa di noi ciò che vuole.
Quello appena sopra, non è che un elenco breve di pensatori e tradizioni, le cui configurazioni del mondo basterebbero ad edificare un’umanità immersa in una realtà di bellezza, di pienezza. Ma capire la bontà della loro parola non basta, l’esperienza non è trasmissibile, ricrearla è necessario affinché dal piano intellettual-cognitivo esse divengano carne, sangue, parola e pensiero.
Infatti, invece di essere saggi da millenni, siamo qui a consumare una vita di stenti e soprattutto vittimistica o peggio, sostanzialmente solo intellettual-ideologica. Un’emozione che ci costringe ad identificarci con il tunnel della storia e non vedere mai il cielo. Cioè, a considerare utopia il salto quantico che dal trampolino dalla dimensione egoica ci lanci nella dimensione del bene e del bello; che dal brutale dualismo si possa passare alla consapevolezza dei suoi plumbei limiti.
Se le esperienze non sono trasmissibili e se riconosciamo che esse hanno il potere di intervenire nella nostra descrizione del mondo, dovremmo anche poter raggiungere la forza per accettare e fare nostra la consapevolezza che viene dalla banale constatazione che stiamo semplicemente dando significato differente alla realtà. Da lì, a riconoscerne il reciproco diritto, dovrebbe essere un’altra banalità. Ma se così non pare, allora c’è di mezzo la prevaricazione egoica e il suo pilastro portante, cioè l’identificazione di noi con ciò che chiamiamo io.
Ma se così seguitiamo a procedere, il nostro immaginario, seguiterà a risiedere, con il liquame al collo, nella latrina edificata dal razionalismo, dal materialismo, dal positivismo, dalla scienza e dalla logica formale. Tutti ottimi strumenti per amministrare la vita, ma pessimi, se non letali, quando sono creduti gli unici ad avere diritto di stare sul nostro banco di lavoro, o quando dai campetti di gioco regolamentati e condivisi, ci addentriamo nelle foreste selvagge delle libere relazioni interpersonali, come la cultura scientista che ci domina, impone.
Un accidente che, senza che nessuno se ne sia accorto, ha conficcato le unghie fino in fondo a noi, fino a delineare la strada dei pensieri e perfino quella dell’anima, tanto da renderci nemici.
Articolo di Lorenzo Merlo
Fonte: www.fisicaquantistica.it
Libri di Lorenzo Merlo:
Sul fondo del barile
Primiceri Editore, Ottobre 2018
Un libro forse solitario che prova a fare il punto sulla situazione attuale, sul sincretismo tra Tradizione e Scienza quantistica, per sostenere come la via verso consapevolezza si stia facendo strada nella cultura occidentale un tempo solo materialistica. E per fare presente che anche in un momento di degrado generale possiamo trovare la linfa per compiere un passo verso ciò che i buddhisti chiamano liberazione dal ciclo delle reincarnazioni. Ovvero un passo evolutivo per avvicinarci alla realizzazione di sé e perciò di una società più corrispondente a quella che tutti abbiamo in mente.
Senza dire Io
Vivere, parlare, pensare Senza dire Io – Interviste a uomini come noi
Postfazione Paolo Lissoni – Primiceri Editore, Marzo 2021
Il libro si compone di due interviste a Paolo D´Arpini e Marco Baston, nonchè della Postfazione di Paolo Lissoni. Tre uomini per altrettante ricerche umanistiche di forma fortemente diversa tra loro, ma di sostanza identica, in quanto relativa all´evoluzione individuale/sociale.
AFGHANISTAN
Fede cuore ragione.
Victoryproject book, Milano, 2011
È un libro fotografico. Dedicato soprattutto ai sentimenti. Storie di persone che l'empatia sa riconoscere da ogni sguardo.
È un libro pieno di domande. La verità della fotografia fino a quando non mente? Che accadrà dopo il 2014, la data della ritirata della forza internazionale? Quanto il movimento talebano ha interessi internazionali? La natura dell'islam può essere avvicinata da un miscredente? Sono esistiti progetti di comunicazione per promuovere la centralità dello Stato? C'è qualcosa che possiamo sapere oggi, ad anni di distanza dai fatti, sui sequestri Torsello e Mastrogiacomo? Un mea culpa occidentale avrebbe un peso geopolitico? La democrazia è un valore da affermare con la forza? C'è un'unica realtà o ce ne è una di rubik dove ognuno ha diritto al lato che lo rappresenta? La guerra è un fatto in mano alle lobby o può vantare significati umanitari? Pulizia etnica e razzismo pasthun sono un delirio hazarà o corrispondono a dati di fatto? Quanto un fotografo sa di provocare una realtà piuttosto che un'altra spostando anche di poco il rettangolo dello scatto?
Essere Terra
Viaggio verso l’Afghanistan
Prospero editore, Milano, 2019
Un viaggio verso l’Afghanistan. “Verso”, perché non era possibile essere certi di arrivarci, entrarci, percorrerlo e uscirne: dal 1979, anno dell’invasione sovietica e inizio delle guerre tuttora in corso, pochi o nessuno avevano pensato e realizzato l’idea di raggiungere Kabul in solitaria, guidando un mezzo personale e attraversando Balcani, Turchia e Iran. Essere Terra non è solo un libro di viaggio. Oltre allo scorrere di descrizioni di uomini e paesaggi, caratteri e convenzioni, Merlo segue le tracce di Annemarie Schwarzenbach, Ella Maillart e Nicolas Bouvier attraverso le loro opere, scritte lungo la stessa “central route” percorsa in questo libro. Così l’autore ha voluto celebrare quei pionieri “così utili per comprendere l’Europa e l’Asia, così attuali da far impallidire i diplomatici di oggi” con una narrazione ricca di senso critico, considerazioni e riflessioni di carattere storico e sociologico.
Essere Terra
Un viaggio di ricerca
Prospero editore, Milano, 2020
Degustare è la parola. Degustare apre a evocazioni ed emozioni a cui la voracità del consumo non ha accesso. Essere Terra – un viaggio di ricerca richiede al lettore il desiderio di degustare. Molti segreti lo richiedono per emergere dal fondo melmoso dei luoghi comuni, per raggiungere la superficie dell’evidenza e strabiliare nuovamente la normalità del quotidiano. Solo degustando si sale in macchina con l’autore, solo allora i paesaggi si ricompongono. Dal 1979, anno dell’invasione sovietica e inizio delle guerre tuttora in corso, pochi o nessuno avevano pensato e realizzato l’idea di raggiungere Kabul in solitaria, ma Essere Terra non è solo un libro di viaggio. Oltre allo scorrere di descrizioni di uomini e paesaggi, caratteri e convenzioni, Merlo segue le tracce di Annemarie Schwarzenbach, Ella Maillart e Nicolas Bouvier attraverso le loro opere, scritte lungo la stessa “central route”.
Commenti
I Nemici — Nessun commento