La Voce dell’ “Altro”
di Marina Sagramora
“Non è mai la persona a pronunciare una volgarità, è sempre il suo ‘doppio’ che lo fa”. (Massimo Scaligero)
Ritorno su un tema che ho già affrontato altre volte, e che so bene quanto rischi di infastidire alcuni. Ma credo ugualmente che sia il caso di sottolineare l’importanza di divenire ben consci del problema, che viene poco considerato, anzi molto sottovalutato.
Non è il mio esclusivo pensiero che esprimo, bensì quello che un giorno Massimo Scaligero mi manifestò. Una frase che mi è rimasta impressa, che nel tempo ho cercato di fare mia, e vorrei che altri ne comprendessero il profondo significato.
Riguarda il turpiloquio: questo inserire di continuo nelle frasi una o più parole volgari per rafforzarne il senso. Viene recepito dai più come un atteggiamento spregiudicato, moderno, disinibito, al passo con i tempi e i modi. Non si vuole restare indietro, e dato che così ci si esprime negli ambienti di scambi sociali, al lavoro, negli incontri conviviali e persino all’interno delle mura domestiche, magari di fronte a bambini e ragazzi, ci si sente autorizzati a replicare, a condividere, a sottolineare con quelle parole che ormai sono sulla bocca di tutti per potenziare il discorso.
La frase di Massimo cui accennavo è questa: “Non è mai la persona a pronunciare una volgarità, è sempre il suo ‘doppio’ che lo fa”.
Il doppio – questa parte oscura di noi che ci è necessaria per aderire alla materia e comprenderla – non deve prendere il sopravvento su di noi: dobbiamo imparare a tacitarlo, a non farlo esprimere al nostro posto.
È un impegno continuo, perché occorre fare attenzione ad ogni nostra espressione, soprattutto nei momenti in cui qualcuno ci molesta, o ci attacca verbalmente, e siamo tentati di rispondere per le rime.
Quel doppio si affaccia ancor più nel caso di un litigio violento, persino con una persona a noi cara, con la quale si alza la voce e si pronunciano frasi che dopo si vorrebbe non aver mai detto. Anzi, ci si domanda come è stato possibile dirle, senza renderci conto che non eravamo noi, ma qualcuno in noi che, liberato in quell’occasione, era subito pronto ad esprimere pienamente la propria natura.
Vorrei fare cenno a un caso che mi è capitato una delle scorse mattine, passando davanti a un bar che è il ritrovo di molte persone del luogo, anche di operai che lavorano nelle varie interminabili ristrutturazioni di cui le antiche case di questo quartiere necessitano. Mentre mi avvicinavo, già da lontano sentivo delle urla con una voce alterata. Non era la voce normale di una persona che alza il tono per imporre in qualche modo una sua idea, quanto piuttosto l’espressione esasperata di chi aveva ormai travalicato ogni modo di esprimersi umano.
Era la voce strozzata ma perentoria di chi cacciava fuori del locale qualcuno che forse aveva fatto o detto qualcosa di sbagliato, o di fortemente offensivo. Quella voce era tremenda, perché non era umana. Le persone sedute al tavolo fuori erano impietrite, si era fatto un grande silenzio. Da quella bocca uscivano oscenità di ogni genere oltre all’impeto e alla violenza verbale, cui sicuramente si accompagnava anche quella fisica, ma non mi sono fermata a guardare la folla che cercava all’interno di dividere i litiganti.
Mentre mi allontanavo, ancora sentivo le urla che proseguivano. Avevo riconosciuto bene la voce di quell’ “abitatore”, che quando si manifesta lo fa secondo un rituale prevedibile e sempre riscontrabile: l’Io non è lì, al suo posto c’è l’altro.
Vorrei sottolineare anche quanto gravi, in questi casi, possono essere le conseguenze di un’arrabbiatura, di un diverbio violento, che potrebbe portare allo sviluppo di patologie fisiche. In quel caso si verifica un’alterazione dell’attività cerebrale, il sangue rallenta il suo ritmo, si snaturano tutti i parametri del sistema nervoso e di quello cardiovascolare. Un litigio che trascende può persino terminare in tragedia, con un collasso cardiaco.
Quello cui possiamo assistere all’esterno, accade anche all’interno delle famiglie. Non possiamo neppure immaginare quanto male facciamo a dei bambini o a degli adolescenti, che assimilano dall’ambiente circostante tutta l’aura psichica, che li coinvolge molto più di quello che accade agli adulti. Loro sono più aperti e ricettivi, perché vivono un periodo imitativo, che termina solo quando la personalità è del tutto formata, cosa che a volte si protrae oltre il terzo settennio.
L’assistere, ad esempio, a litigi dei genitori, con parole che feriscono, con termini volgari o epiteti sconvenienti, è come provocare in loro profonde ferite. Non essendo ferite visibili ma interiori, non ci si fa caso, ma la loro anima sanguina e per difesa cerca di indurirsi. Si trasformerà lentamente nel modello che vede intorno a sé, pronuncerà le stesse parole e ripeterà gli stessi errori che recepisce come inevitabile “normalità”.
Così come l’atmosfera familiare si comunica ai figli, accade che se ne imbevano anche gli animali domestici, che vivono in simbiosi con i propri padroni. Dice Maître Philippe: “Un uomo buono, pacifico, avrà degli animali dolci, obbedienti (http://www.maitrephilippe.it/vangelo/librosecondo/animali.php)”. È evidente che nel caso di persone violente e aggressive, figli e animali domestici ne assorbiranno la disposizione animica.
Il discepolo della Scienza dello Spirito dovrebbe, insieme alla disciplina interiore, curare una disciplina verso l’esterno, verso le persone che lo circondano, la società in cui vive. Dovrebbe essere un esempio di rettitudine, che comprende una pulizia del linguaggio. Dovremmo amare la nostra lingua, quella del “bel paese dove ‘l sí suona”…
Nostro compito sarebbe di impegnarci a sostituire a sciatte imprecazioni o a maliziose intemperanze verbali un parlare piacevole da ascoltare e al quale possibilmente chi ci ascolta sarebbe spinto ad ispirarsi. Dovremmo guardarci vivere ed evitare di perdere la presenza di noi stessi, dei nostri atti, del nostro linguaggio. Essere sempre noi a guidare i nostri comportamenti, non farci condurre dagli eventi, lasciando spazio a reazioni emotive di cui non siamo più responsabili.
A tale proposito scrive Massimo Scaligero: “Siamo entro una storia, una evoluzione, in cui ci stiamo destando come portatori dell’Infinità dello Spirito: ci stiamo svegliando, non possiamo più ignorare quello che siamo: ci è chiesto di assumere le redini della storia, di divenire responsabili non in determinati momenti, ma di momento in momento. La continuità della presenza dell’Io: la presenza che non può essere sforzo, ma reale essere: così come si è all’origine. È un’esigenza universale umana che il Principio dell’Io si accenda e che lo Spirito operi nel quotidiano“ (da Accordo “La realtà vittoriosa”).
E ancora: “È possibile stabilire un nuovo rapporto con l’essere sulla base dell’assoluta autocoscienza rispetto alla forma con cui l’immediato essere si presenta: tutto ciò che nel mediarsi dell’anima sembrava essere obiettivamente, viene ora conosciuto come apparire, come simbolo, di una presenza dell’Io nell’essere, non più mediata, ma radicalmente voluta. Ecco che la Via della identità, o della donazione assoluta, è la via della Volontà“ (da Accordo “La Forza salvatrice”).
Essere dunque padroni di noi stessi, non lasciare spazio all’ “altro”, che continuamente tenta di agire ed esprimersi al nostro posto: una disciplina della volontà, esercitata con la mente, che con il tempo, lo vedremo, andrà a riverberarsi nel cuore.
Articolo di Marina Sagramora
Fonte: https://www.larchetipo.com/2024/05/socialita/la-voce-dellaltro/
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