Vivere per Lavorare o Lavorare per Vivere? Il Pensiero di Charles Bukowski sul Lavoro
di Alessandro (pensierovagabondo)
In questa società frenetica, il lavoro spesso diventa una gabbia che logora l’anima, rubandoci tempo prezioso e vita.
Le lunghe ore trascorse tra mura d’ufficio ci allontanano da ciò che conta davvero, mentre il peso delle responsabilità e delle aspettative ci costringe a sacrificare i momenti di gioia e autenticità. La corsa continua verso il successo e il denaro sembra non avere mai fine, lasciandoci senza fiato e strappandoci via il respiro dell’esistenza. Ma è importante fermarsi e riflettere: dov’è il confine tra vivere per lavorare e lavorare per vivere?
Come possiamo riconquistare il controllo delle nostre vite e scoprire un equilibrio tra la serenità e la realizzazione personale? Esploriamo insieme il viaggio verso una vita più significativa e appagante, dove il lavoro e la vita si fondono armoniosamente, secondo il pensiero di uno dei scrittori più interessanti dei nostri tempi: Charles Bukowski.
No al Vivere per Lavorare: Cosa Diceva Bukowski?
Charles Bukowski, poeta e scrittore statunitense, ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura contemporanea attraverso i suoi libri. Con uno stile crudo e senza filtri, Bukowski ha espresso il lato oscuro dell’esistenza umana, toccando temi come l’alienazione, la solitudine, la lotta quotidiana e l’amore. La sua prospettiva anticonformista e disincantata ha svelato, inoltre, la falsa illusione di una società apparentemente ordinata, mettendo in luce la schiavitù del lavoro e l’estraniamento dalla vita autentica.
Attraverso le sue opere, Bukowski ha esplorato i bassifondi della società, evidenziando la sofferenza e il desiderio di libertà interiore. Ha sfidato le convenzioni sociali, rifiutando la maschera dell’ipocrisia e della falsità. Con uno spirito ribelle, ha scritto di alcol, sesso, e della realtà brutale dell’esistenza umana.
Tuttavia, dietro la sua scorza ruvida, emergono anche lampi di empatia e umanità. Bukowski ha celebrato le piccole gioie della vita, l’amore sincero e la forza di resistere agli ostacoli. Il suo approccio onesto e senza filtri ha ispirato molte persone a trovare la forza di essere sé stessi, abbracciando la verità dell’essere umano.
In sintesi, il pensiero di Charles Bukowski ci invita a guardare oltre le apparenze, a riflettere sulla nostra condizione umana e a cercare autenticità nella nostra esistenza. Le sue parole rude e viscerali ci spronano a vivere con passione e a trovare la bellezza nella realtà più cruda e autentica della vita.
Lettera di Bukowski a un Amico sulla Schiavitù Umana che Deriva dal Lavoro
“Ciao John, Grazie per avermi scritto. Non credo faccia male, a volte, ricordare da dove si viene.
Tu sai i posti da dove vengo io. Le persone che ne scrivono o ci fanno i film, non ne hanno idea. Chiamano quella vita “dalle 9 alle 5” ma quel tipo di lavoro non è mai dalle 9 di mattina alle 5 del pomeriggio.
Non hai la pausa pranzo in quei posti, perché gli altri dipendenti, temendo di perdere il lavoro, preferiscono non farla. E poi ci sono gli straordinari e i registri non sembrano mai dire davvero quanto tempo ti sei fermato in più. E se ti lamenti di tutto ciò, ci sarà un altro sfigato come te pronto a prendere il tuo posto.
Conosci il mio vecchio detto? “La schiavitù non è mai stata abolita, si è semplicemente estesa a tutti i colori della pelle”.
Ciò che mi fa male è vedere la decadenza costante di questa umanità che lotta per tenere lavori che non vuole ma ha troppa paura dell’alternativa.
Le persone sono vuote. Sono semplicemente corpi pieni di paure, con menti obbedienti. Non hanno più colori negli occhi. Le loro voci diventano orrende. E così i loro corpi. I capelli, le unghie, le scarpe. Tutto diventa orrendo.
Da ragazzo non potevo credere che le persone scambiassero le loro vite per quelle condizioni. Da vecchio uomo che sono oggi, non riesco ancora a crederci.
In cambio di cosa accettano una vita del genere? Il sesso? La televisione? Un’automobile a rate? Avere dei figli? Figli che avranno la loro stessa misera vita?
Tanti anni fa, quando ero giovane e passavo da un lavoro all’altro, ero così ingenuo che a volte volevo conversare con i miei colleghi: ‘Hey, ma vi rendete conto che da un momento all’altro il capo può entrare qui dentro e mandarci tutti a casa?’ Loro mi guardavano. Per loro rappresentavo un pensiero che non volevano entrasse nella loro testa.
Ora nel mondo del lavoro ci sono licenziamenti di massa. Centinaia di migliaia di persone si ritrovano senza un lavoro e sono sconvolti.
‘Ho dedicato a quel lavoro 35 anni della mia vita…’, ‘Non è giusto’, ‘Non so cosa fare’…
La verità è che gli schiavi non vengono mai pagati abbastanza per potersi liberare. Vengono pagati il giusto per poter sopravvivere ed essere costretti ad andare a lavorare ogni giorno. Io vidi tutto questo. Perché gli altri non ci riescono? Immagino che per me la panchina del parco o il bancone del bar andassero già bene. Perché non finire subito lì? Perché aspettare che mi togliessero il lavoro?
È stato un sollievo enorme uscire da quel sistema di merda. E ora che sono qui, un cosiddetto scrittore professionista, dopo aver ceduto i primi cinquant’anni della mia vita, mi rendo conto con ancora più lucidità di quanto sia disgustoso.
Ricordo una volta, lavoravo in un’azienda di imballaggi. A un certo punto uno degli altri operai ebbe una crisi e disse ad alta voce: ‘Io non sarò mai libero!’ Passò uno dei capi lì vicino (si chiamava Morrie) e fece una risata orribile, godendo del fatto che quell’uomo era intrappolato per tutta la sua vita.
Ho avuto la fortuna di scappare da quei posti e non importa quanto ci ho messo: mi ha donato una forma di gioia che ha il sapore del miracolo.
Ora scrivo con una mente vecchia dentro un corpo vecchio, ben oltre quell’età in cui gli uomini pensano di poter ancora scrivere. Ma visto che ho iniziato così tardi, lo devo a me stesso: devo continuare.
E quando le parole diventeranno indistinguibili e avrò bisogno di qualcuno che mi aiuti per fare le scale e non riuscirò più a distinguere un uccellino da una clip in metallo, sono sicuro che comunque ricorderò bene come sono uscito dal massacro della vita in fabbrica per riuscire almeno a morire in modo generoso.
Non aver sprecato interamente la mia vita mi sembra un gran bel successo“.
Charles Bukowski, 1988.
Conclusioni
Ero incastrato in un sistema oppressivo che mi stava consumando lentamente, incapace di trovare una via d’uscita. Giorno dopo giorno, lavoravo su turni massacranti, otto ore che si trasformavano in dieci con il tragitto casa-lavoro.
L’anima si spegneva, non sorridevo mai e il cuore si anestetizzava. Non riuscivo più a provare emozioni, neanche amore per mia madre o per me stesso. Sembrava che il tempo sfuggisse tra le dita mentre il lavoro divorava le mie energie e le mie speranze.
Come spiego nel mio libro, ero prigioniero della routine, intrappolato in una gabbia senza via di fuga. Avevo bisogno di liberarmi da questa schiavitù legalizzata, ritrovare la gioia e il significato della vita, riscoprire la connessione con il mio vero io e con gli affetti più cari. Era giunto il momento di spezzare le catene e cercare una nuova strada verso la felicità e la libertà interiore.
Articolo di Alessandro (pensierovagabondo)
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