Onde gravitazionali e gravità quantistica
di Paolo Di Sia
La teoria della relatività generale di Einstein prevede che le masse in accelerazione emettano onde gravitazionali. Einstein fece questa previsione un secolo fa; le onde gravitazionali sono state rivelate il 14 settembre 2015 alle 10.50 (ora italiana), da entrambi gli strumenti gemelli LIGO (LIGO è l’acronimo di “Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory”) negli Stati Uniti, a Livingston in Louisiana e a Hanford nello stato di Washington.
Nelle previsioni degli scienziati siamo solo all’inizio; ci si aspetta una serie di altri eventi, che “metteranno alla prova” la teoria di Einstein con una precisione senza precedenti.
Possono esserci delle ricadute positive da tutto questo in relazione agli sforzi della fisica contemporanea di trovare una teoria della gravità quantistica, teoria abile di combinare la relatività generale einsteiniana con la meccanica quantistica?
Premettiamo che la relatività generale è una teoria non quantizzata e le onde gravitazionali sono state previste indipendentemente dai tentativi di trovare una versione quantizzata consistente della gravità. E’ generalmente previsto che la gravità quantistica dia luogo a “gravitoni” (le particelle elementari responsabili della trasmissione della forza di gravità), i quali sono onde gravitazionali quantizzate. Il gravitone è collegato alle onde gravitazionali nello stesso modo in cui un fotone è collegato alle onde elettromagnetiche.
Le proprietà delle onde nel contesto della relatività generale danno tutte le informazioni utili sulla versione quantistica della particella “gravitone”, ossia che deve essere senza massa, avere spin 2 e propagarsi alla velocità della luce. Un’onda gravitazionale è costituita da un numero enorme di gravitoni, e la possibilità di misurare i singoli componenti risulterebbe estremamente difficile e ben oltre le nostre attuali capacità sperimentali.
L’interferometro LIGO non è in grado di “riconoscere” i singoli gravitoni, allo stesso modo di un’antenna TV che non riconosce i singoli fotoni; alla presenza di un segnale, il rivelatore viene inondato di particelle, ma non ha la capacità di riconoscere singolarmente i gravitoni da un’onda gravitazionale non quantizzata, quindi non può dirci nulla circa l’esistenza dei gravitoni. A ciò si aggiunge il fatto che la teoria della gravità quantistica non è stata ancora completata.
Un fatto che trova tutti più o meno d’accordo è che gli effetti gravitazionali quantistici dovrebbero aumentare in regioni di “forte curvatura” dello spazio-tempo, ossia verso il centro dei buchi neri, non sul loro orizzonte, dove risulterebbero relativamente deboli.
Le onde gravitazionali rivelate nel settembre 2015, sono state prodotte nell’ultima frazione di secondo del processo di fusione di due buchi neri, aventi massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari, in un unico buco nero ruotante di circa 62 masse solari; le 3 masse solari mancanti al totale della somma delle masse dei due buchi neri iniziali, equivalgono all’energia emessa durante il processo della loro fusione, sotto forma di onde gravitazionali.
I due buchi neri, prima di fondersi, hanno seguito traiettorie a spirale, per arrivare a scontrarsi ad una velocità di circa 150000 km/s, la metà della velocità della luce. Tale situazione “catturata” da LIGO non ha sondato pertanto ciò che accade nel centro del buco nero, quindi non forti effetti gravitazionali quantistici.
E’ stato però sostenuto sul piano teorico che gli effetti gravitazionali quantistici potrebbero non essere così piccoli vicino all’orizzonte di un buco nero, nonostante queste argomentazioni siano ad oggi molto dibattute. Non è escluso che le fluttuazioni gravitazionali quantistiche possano lasciare un’impronta sullo spettro di emissione che può essere cercato con LIGO ed altri simili esperimenti su onde gravitazionali.
Un’ipotesi ritenuta valida sostiene che sull’orizzonte di un buco nero, le deviazioni dalla sua normale geometria dovrebbero portare ad un segnale di un’onda gravitazionale meno regolare e con una potenza superiore a quella che la relatività generale prevede. In un tale scenario le fluttuazioni gravitazionali quantistiche potrebbero lasciare un’impronta sullo spettro di emissione che può essere cercata con LIGO ed altri esperimenti simili.
Più in generale, qualsiasi deviazione dalla relatività generale potrebbe dare un suggerimento relativamente a come quantizzare la gravità; dal momento che le onde gravitazionali trovate sono la prova del fatto che abbiamo determinato sperimentalmente una situazione prevista teoricamente 100 anni fa, le ulteriori misure che verranno eseguite promettono di rivelare fatti nuovi che possono condurre a nuove intuizioni.
La dinamica della fusione di una coppia di buchi neri e il modo in cui le onde gravitazionali viaggiano, sono situazioni sensibili anche alle più piccole deviazioni dalla relatività generale, come ad esempio violazioni del principio di equivalenza o la possibilità che il gravitone non sia esattamente privo di massa.
Inoltre, oltre alla fusione di buchi neri, LIGO potrebbe anche rilevare i segnali di strane fonti che non rientrano nell’ambito delle teorie standard, come ad esempio le “stringhe cosmiche”. Esse sono configurazioni di energia predette da alcune teorie di fisica delle alte energie, formatesi in un remoto passato all’inizio dell’universo. Sarebbero di struttura filamentosa, da cui il nome “stringhe”, e potrebbero avere dimensioni molto grandi, come una galassia o anche molto di più, addirittura essere lunghe quanto l’universo osservato, da cui il nome “cosmiche”. Si troverebbero sparse dovunque nell’universo, tipicamente nel vuoto interstellare tra le galassie.
Queste stringhe cosmiche possono formare cuspidi dove si intersecano o si annodano su se stesse, e questo produrrebbe l’emissione di sequenze di onde gravitazionali. Se questi oggetti esistono e sono presenti oggi nell’universo, le condizioni dell’universo primordiale devono aver consentito la loro formazione, e sarebbe in tal modo testato un regime di altissima energia, dove la fisica della gravità quantistica o di grande unificazione ha giocato un ruolo determinante.
LIGO ha già cercato stringhe cosmiche in passato, non trovando ad oggi alcuna prova circa la loro presenza nell’universo. Ma l’aumento della sensibilità dei dispositivi dopo l’aggiornamento dello scorso anno, ci consente nel presente e sperabilmente ancor più nel futuro, una ricerca più precisa e accurata di questi oggetti.
Infine va ricordato che l’interferometro LIGO misura solo una specifica gamma di lunghezze d’onda e che diverse lunghezze d’onda contengono altre informazioni sulla struttura nell’universo. Particolarmente interessante per la gravità quantistica, sono le onde gravitazionali primordiali che erano presenti nell’universo primordiale. Esse hanno avuto un comportamento decisamente quantistico e la loro rilevazione ci permetterebbe di capire l’evoluzione dell’universo in quei primissimi istanti. Anche la misurazione delle onde gravitazionali primordiali è molto difficile e delicata, ma dobbiamo ricordarci che da settembre 2015 siamo all’inizio della cosiddetta “astronomia delle onde gravitazionali”, quindi il futuro fa ben sperare.
In conclusione, non ci sono ad oggi ragioni forti sulla possibilità che gli effetti gravitazionali quantistici dovrebbero diventare misurabili mediante i rivelatori di onde gravitazionali in un futuro prossimo, ma vi è tuttavia sempre la possibilità che nuovi metodi di osservazione possano portare ad interessanti sorprese. Quindi pur non illudendosi troppo, è ragionevole e doveroso pensare che i progressi in questa direzione ci offrano entusiasmanti novità.
Paolo Di Sia
Paolo Di Sia è attualmente professore aggiunto presso l’università degli studi di Padova e l’università degli studi di Bolzano. Ha conseguito una laurea (bachelor) in metafisica, una laurea (master) in fisica teorica, un dottorato di ricerca in fisica teorica applicata alle nano-bio-tecnologie e un dottorato di ricerca in matematica “honoris causa”. Si interessa del rapporto tra filosofia e scienza, di fisica alla scala di Planck, di nanofisica classica e quantistico-relativistica, di nano-neuroscienza, di fisica transdisciplinare e di divulgazione scientifica. È autore di 276 lavori distribuiti tra riviste nazionali e internazionali, capitoli di libri, libri, interventi accademici su web scientifici, pubblicazioni accademiche interne, lavori in stampa. È reviewer di vari international journals, membro di molte società scientifiche internazionali e international advisory/editorial boards, gli sono stati attribuiti vari riconoscimenti internazionali.
Paolo Di Sia
Università di Padova (Italy) & Libera Università di Bolzano (Italy)
E-mail: paolo.disia@libero.it
Webpage: www.paolodisia.com
Ancora molto da dimostrare