di Marcello Veneziani
Da tre anni e mezzo, salvo brevi intervalli, passiamo da un incubo all’altro, e ogni tentativo di pensare altro, di parlare d’altro, di scrivere d’altro, è visto come qualcosa di inopportuno, di elusivo, quasi di vigliacco, oltre che di stravagante.
Dai tempi in cui esplose il covid, nel marzo del 2020 a oggi, stiamo passando da uno psicodramma globale all’altro, senza soluzione di continuità e con l’imperativo di farsi coinvolgere, se non si vuole passare per disertori o peggio, complici, per intelligenza col nemico. Non c’è evento che si possa circoscrivere, localizzare: ogni cosa che accade, ci tocca da vicino, riguarda anche noi, anzi è il preavviso di quel che ci accadrà. La somministrazione dell’angoscia è affidata ai media e propagata dai social.
E appena c’è una pausa tra una tragedia e l’altra, basta un evento atmosferico per trasferirci in una specie di intervallo di “ricreazione”, nell’angoscia del clima, l’ansia della catastrofe ambientale ormai imminente. In modo da non allentare mai la tensione, neanche in pausa o in gita.
Non dirò che c’è un Grande Complotto Mondiale, o un Grande Satana, che ci impone questa filiera di emergenze e di paure. Non può essere. Più probabilmente siamo entrati in una psicosi globale con reazione a catena, che comporta tra l’altro la radicalizzazione della società in posizioni opposte…
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