Essere “Imprenditori” della propria Felicità
di Roberto Di Molfetta
Nell’epoca attuale, non vi è un preciso comportamento, che – tenendo conto delle variabili socio-demografiche e delle attitudini e preferenze personali – ci permetta di essere felici.
Una miriade di comportamenti simili dà origine a situazioni di benessere diverse: dal disagio alla situazione di apparente felicità. Mentre situazioni diverse, possono convergere verso una similarità di stati di appagamento. Non vi è un comportamento socialmente apprezzato, psicologicamente sostenibile, razionalmente progettabile che permetta di dire a sé stessi: “Se mi comporterò così sarò felice, starò bene nella vita”.
Abbiamo tutti la sensazione che ciò che abbiamo ci possa sempre essere tolto: dal governo, dagli altri, dalla Natura, persino dai nostri cari (ad esempio, tramite il divorzio e relative cause). Non vi è – in sostanza – un progetto di vita che metta al riparo, al di là di sventure imprevedibili, dall’infelicità, dal dolore, dal rimorso.
Abbiamo, quindi, bisogno di ignorare questa instabilità dell’animo, rifugiandoci nell’incessante brulicare caleidoscopico della frenesia dei giorni, che si vogliono diversi, anche solo per lo shopping… o magari per un viaggio. Ma in realtà stiamo fuggendo da questa insicurezza dei sentimenti, degli affetti, della fiducia nel prossimo, nello Stato, nei valori tradizionali.
Figli di una società che ha abbracciato il consumismo ed il capitalismo sistemico come unico motore reale del vivere associato, siamo meteore in cerca di un Sole che ci abbracci e ci influenzi, a tal punto da farci sentire parte di un sistema che ci trascenda, e finalmente parte di qualcosa di grande.
Certo, sono sensazioni, chiamatela analisi qualitativa: ma sono sicuro che, dietro la comunicazione frenetica e superficiale dei nostri tempi, si nasconda la mancanza di radici in una dimensione veramente umana, che l’essere umano non può veramente ignorare: abbiamo bisogno di linfa vitale, non siamo ‘macchine felici’, non possiamo esserlo.
Dietro ogni vita programmata da ideali che non sentiamo nostri o sentiamo vuoti, come quelli micro o macroeconomici, c’è già il germoglio dell’infelicità del nostro io. Ecco perché gli individui si rifugiano, sempre di più, pur nella società globale, nel locale, nelle ‘tribù’ gruppali, negli affetti strettamente familiari.
Il materialismo, i rapporti sociali strumentali, il cinismo dei governanti, la programmazione a tutti i costi della vita e della auspicabile felicità, ci rendono ‘imprenditori’ di felicità, cerchiamo, cioè, di inventarci un sistema personale per essere felici, veramente noi… al di là di barriere che sentiamo inadeguate a contenere il nostro io più vero e profondo.
Vince chi riesce a valutare le risorse proprie e del sistema in cui vive, e ad investire oculatamente tutto il possibile in una sostenibile ricerca della felicità.
Fonte: http://www.appuntidiscienzesociali.it
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