Protoscienza: le entità metafisiche viste con gli occhi dei bambini
Cosa sono gli incubi dei bambini? Solo fantasie della mente durante la fase del sonno? Oppure no? Un tale interrogativo se lo sono posto ormai da diversi anni molti studiosi, che certamente seguono una strada sensibilmente eterodossa rispetto a quella tradizionale.
Fra questi, Arthur Guirdham, psichiatra inglese che ha anche lavorato a Londra come consulente di un centro psico-pedagogico; egli sostiene che i bambini possono vedere il diavolo e le forze del male in azione, e che tali esperienze sono potenzialmente in grado di traumatizzarli per tutta la vita.
Il perché in genere non ne parlino con gli adulti, sarebbe spiegato dallo studioso – che afferma di aver avuto lui stesso una simile esperienza quando era piccolo – col fatto che dopo le prime volte in cui raccontano cosa hanno “vissuto”, i piccoli si rassegnano perché si rendono conto che tanto non vengono creduti.
Secondo queste scuole di pensiero, i comuni incubi, la paura di mostri e quant’altro – tutte situazioni che caratterizzano le notti di molti bambini e che sono da inserire nella generica categoria di “paura notturna” – sarebbero da imputare a entità metafisiche, perlopiù diaboliche.
In base alle statistiche realizzate finora, facce sogghignanti e satiresche sarebbero la forma più comune di terrore notturno. Queste esperienze sarebbero veri e propri contatti che il bambino ha sul piano parapsicologico e si tratterebbe quindi di fenomeni più medianici che psicologici. I bambini li percepirebbero perché più ricettivi degli adulti, in quanto nei primi anni di vita, la psiche e la personalità – resa poi fortemente “razionale” dalle convenzioni sociali – sono meno legate l’una all’altra. Inoltre, sul punto di cadere nel sonno, il contatto tra psiche e personalità è ulteriormente allentato.
Siamo sicuri – questo è il dubbio sollevato da Guirdham e da chi la pensa come lui – che ciò che gli adulti non vedono, sia solo fantasia o addirittura lucida bugia dei bambini? Fantasie, incubi, visioni di film o ascolto di narrazioni suggestive: questi i motivi a cui gli adulti adducono le notti tormentate dei piccoli… Ma se non fosse sempre così? Se non si trattasse sempre di esperienze oniriche o fantastiche?
Fonte: www.nonapritequelportale.com
Molti libri sono stati scritti sull’argomento, alcuni anche ben fatti. Da parte loro gli psicologi, tuttavia, si muovono generalmente dal punto di vista di una scienza immanentista e materialista, per cui essi danno per scontato che non bisogna cercare fuori della mente la spiegazione di qualunque processo od evento, per quanto insolito. Valga per tutti il caso dei cosiddetti “compagni di giochi immaginari”, che tutti gli psicologi di formazione accademica interpretano unicamente come una creazione della fantasia di bambini particolarmente sensibili ed emotivi, e abituati, per le più varie circostanze, a trascorrere troppo tempo da soli.
Solo pochissimi studiosi hanno osato sfidare il paradigma materialista della psicologia moderna, sostenendo, ad esempio, che certe forme di “paura notturna”, e gli stati nevrotici che ne derivano, sono spiegabili ammettendo che i bambini possiedano la facoltà di vedere creature demoniache (ma anche angeliche) e percepire realtà ultra-dimesionali: esperienze che, di norma, essi non osano confidare agli adulti, perché sanno che non verrebbero creduti.
L’esorcista e studioso Corrado Balducci riporta, con dovizia di particolari, il celebre caso di due fratelli, due bambini alsaziani che, nella seconda metà del XIX secolo, furono vittime di una prolungata possessione demoniaca che mise a soqquadro l’intero paese. Ed è noto che i testimoni di numerose apparizioni mariane – da Lourdes, a Fatima, a Medjugorie – furono bambini o adolescenti in età puberale; così come lo sono, di norma, i presunti agenti del fenomeno del “poltergeist”. E, inoltre, noto che la quasi totalità delle fiabe, dei racconti e delle storie popolari relativi a gnomi, elfi, coboldi, folletti e altre simili creature, vedano coinvolti, appunto, dei bambini (come lo era Alice, la protagonista dei due fortunati romanzi di Lewis Carroll).
Vi è, infatti, chi sostiene che il “piccolo popolo” delle strane creature del folklore, esista veramente, per quanto sia estremamente elusivo nei confronti degli esseri umani. Il più convinto sostenitore dell’esistenza di questa Seconda Razza, era lo scrittore inglese Arthur Machen (1863-1947), specializzato in romanzi e racconti del terrore, fra i quali “Il gran dio Pan” e “La casa degli spiriti”, molto apprezzati dai cultori del genere. Anche sir Arthur Conan Doyle, il celeberrimo inventore del personaggio di Sherlock Holmes, si era convinto dell’esistenza delle fate, dopo che due bambine inglesi le avevano vedute e fotografate, nel 1920 (anche se, molti anni più tardi, una di queste ultime confessò che si era trattato di uno scherzo).
Lo parapsicologo americano William G. Roll sostiene che la mente di un soggetto medianico può creare da se stessa l’apparizione che percepisce. Egli ammette che le tracce psichiche del passato, immagazzinate nell’etere (?), possano dare luogo a fenomeni di apparizione (“La personificazione come fenomeno parapsicologico”). Roll ipotizza che le condizioni mentali del percettore possano svolgere un ruolo attivo nella comparsa delle apparizioni, al punto da poter creare inconsciamente delle infestazioni, onde poter soddisfare talune proprie necessità di tipo emotivo. La scomparsa improvvisa di una persona può impregnare l’ambiente in cui essa viveva, la sua casa, al punto da creare, mediante una speciale rispondenza nei nuovi inquilini, una realtà oggettiva.
Fonte: http://mcnab75.livejournal.com/171282.html
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