Alla ricerca della felicità…
Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita. Da esse, sovente, traiamo gli stimoli che servono a vivacizzare le nostre giornate.
Sebbene ogni singola emozione sia importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo, l’uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità. Quest’ultima è data da un senso di appagamento generale, e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta.
Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa – la gioia – non solo viene esperito dall’individuo, ma si accompagna, da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell’organismo. Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda, evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l’età o il sesso, né in misura rilevante da bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità, quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di auto controllo e di poter gestire positivamente il proprio futuro.
Le emozioni: il colore della vita
Le emozioni sono quindi componenti fondamentali della nostra vita, danno colore e sapore all’esistenza, anche se, in una civiltà come quella occidentale impostata sul primato della ragione, spesso sono considerate con sospetto e timore. Del resto non potrebbe essere altrimenti: infatti se la ragione promette all’uomo il dominio su se stesso e le cose, le emozioni invece spesso producono turbamento e conflitto, non sono mai totalmente controllabili, e a volte ci trascinano a dire o fare cose di cui, una volta cessato l’impeto emotivo, ci si pente. Eppure, sono le emozioni che ci fanno gustare la vita, ed è proprio dalle emozioni, piccole o grandi che siano, che l’individuo spera di ricavare nuovi stimoli che dinamizzino la sua esistenza. Come si potrebbe dire di vivere appieno, se non si sperimentassero mai la gioia, il tremito dello smarrimento o della paura, l’impeto della passione, l’abbandono alla nostalgia, il peso e la disperazione provocate dalla sofferenza? Tuttavia, come abbiamo detto, l’uomo tende soprattutto a ricercare quello stato emotivo di benessere chiamato felicità.
Felicità: alcune definizioni
Il tema della felicità appassiona da sempre l’umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione, alcuni studiosi hanno posto l’accento sulla componente emozionale, come il sentirsi di buon umore, mentre altri sottolineano l’aspetto cognitivo e riflessivo, come il considerarsi soddisfatti della propria vita. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento.
Secondo Argyle (1987), il maggiore studioso di questa emozione, la felicità è rappresentata da un senso generale di appagamento complessivo, che può essere scomposto in termini di appagamento in aree specifiche della vita, quali ad esempio il matrimonio, il lavoro, il tempo libero, i rapporti sociali, l’autorealizzazione e la salute. La felicità è anche legata al numero e all’intensità delle emozioni positive che la persona sperimenta e, in ultimo, è meglio designata come gioia, quando viene sperimentata come evento o processo emotivo improvviso e piuttosto intenso. In questo caso è definibile come l’emozione che segue il soddisfacimento di un bisogno, o la realizzazione di un desiderio, e in essa, accanto all’esperienza del piacere, compaiono una certa dose di sorpresa e di attivazione (D’Urso e Trentin, 1992).
Cosa succede quando siamo felici?
Tutti noi, in misura più o meno accentuata, proviamo emozioni, e le traduciamo e mostriamo a livello di comportamenti più o meno visibili e consapevoli, le condividiamo con gli altri, ne parliamo o scriviamo di esse, alcuni riescono perfino ad immortalarle nelle opere d’arte. Ma cosa succede dentro e fuori di noi quando siamo felici?
Alcuni autori (Maslow, 1968; Privette, 1983) riportano che le sensazioni esperite con più frequenza, dalle persone che si trovano in una condizione di felicità o di gioia, sono quelle di sentire con maggiore intensità le sensazioni corporee positive e con minore intensità la fatica fisica; di sperimentare uno stato di attenzione focalizzata e concentrata; di sentirsi maggiormente consapevoli delle proprie capacità. Spesso le persone felici si sentono più libere e spontanee, riferiscono una sensazione di benessere in relazione a se stesse e alle persone vicine, e infine descrivono il mondo circostante in termini più significativi e colorati.
Inoltre le persone che provano emozioni positive, quali ad esempio gioia e felicità, a livello fisiologico presentano un’attivazione generale dell’organismo che si manifesta con un’accelerazione della frequenza cardiaca, un aumento del tono muscolare e della conduttanza cutanea e infine una certa irregolarità della respirazione. In ultimo chi è felice sorride spesso. In effetti il sorriso, sovente accompagnato da uno sguardo luminoso e aperto, è la manifestazione comportamentale più rappresentativa, inconfondibile e universalmente riconosciuta della felicità e della gioia.
Chi sono le persone felici?
Probabilmente chiunque, passando in rassegna le persone che gli sono vicine, è in grado di identificare tra tutte un amico, un parente o un conoscente, che è considerato da tutti la persona felice per antonomasia, la persona che non perde il buonumore anche quando deve affrontare delle situazioni difficili o fastidiose, quella che ha sempre la battuta pronta e che sembra serena in ogni circostanza.
Ma la felicità da cosa dipende? Esistono delle caratteristiche intrinseche dell’individuo, che lo rendono maggiormente permeabile a sentimenti di felicità e gioia piuttosto che a sentimenti negativi? E’ molto difficile, probabilmente impossibile, rispondere in modo sufficientemente accurato a tali quesiti. Tuttavia le ricerche sulla felicità, indicano come abbiamo già detto, che le caratteristiche maggiormente associate ad essa, siano quelle relative alla personalità e in particolar modo all’estroversione, alla fiducia in se stessi, alla sensazione di poter controllare con sicurezza se stessi e la propria vita.
Secondo Argyle e Lu (1990), la persona estroversa è più felice perché ha più rapporti sociali, fa amicizie più facilmente, partecipa ad un maggior numero di attività pubbliche e collettive, dove trova maggiori motivi di interesse e divertimento. Inoltre una persona felice è anche una persona che sta bene con se stessa e che ha fiducia nelle proprie capacità e percepisce una fondamentale congruenza tra ciò che è, e ciò che vorrebbe essere. In sostanza, più le persone riescono ad accettarsi per quello che sono, con tutti i loro pregi e i loro limiti, più sono felici. Quanto più una persona ritiene di poter ragionevolmente controllare gli eventi che gli accadono nella vita affettiva, sociale, lavorativa, più è felice; e in particolar modo, è più felice di chi si considera in balia del caso o degli altri.
Felicità e benessere:
Gli stati d’animo positivi possono influire in modo considerevole sia sul comportamento che sui processi di pensiero, rendendoli maggiormente adeguati e funzionali alle situazioni di vita dell’individuo. E’ poi ovvio che tutto questo si ripercuota positivamente sullo star bene dell’individuo con se stesso e con gli altri.
In effetti, quando le persone sono di buon umore, pensano alle cose in modo molto diverso rispetto a quando sono di cattivo umore. Ad esempio, si è trovato che il buon umore porta a descrivere in modo positivo gli eventi sociali, a percepirsi come socialmente competenti, a provare sicurezza in se stessi e autostima (Bower, 1983). Inoltre quando si è felici si tende a valutare più positivamente la propria persona: ci si sente pieni di energia, si considerano meno gravi i propri difetti e si pensa meno alle proprie difficoltà. In ultimo, si è visto che più si è felici, più si curano e allargano i propri interessi sociali e artistici, si pone maggiore attenzione alle questioni politiche generali, ci si sente più inclini ad accettare dei compiti nuovi e stimolanti, anche se difficili (Cunningham, 1986; 1988).
Da questo punto di vista, non c’è da stupirsi che uno stato emotivo positivo induca all’ottimismo: Mayer e Volanth (1985), infatti, hanno trovato una correlazione diretta tra grado di buonumore e probabilità stimata di eventi positivi. Essere felici induce anche ad essere più audaci. A questo proposito, Isen e Patrick (1983) hanno messo in luce come la gioia tendenzialmente porti a sottovalutare la gravità dei rischi e quindi ad agire in modo meno prudente. In ogni caso si è anche visto che questo accade solo se la decisione da prendere non comporta rischi seri. In presenza di uno stato d’animo positivo, non solo il mondo sembra più colorato e desiderabile e le azioni più facili, ma anche le persone che ci circondano sembrano migliori. E’ forse per questo che molti esperimenti rilevano come le persone felici siano più disponibili, generose e altruiste e provochino negli altri una maggior simpatia.
In ultimo, per quanto riguarda gli aspetti cognitivi, si è visto che il buon umore ha degli effetti positivi sulle capacità di apprendimento e di memoria e sulla creatività: in sostanza quando si è felici si apprende con più facilità, in misura maggiore e in modo più duraturo (Ellis, Thomas e Rodriguez, 1984; Ellis, Thomas McFarland e Lane, 1985) e inoltre si è maggiormente creativi nella soluzione dei problemi.
Felicità: istruzioni per l’uso
A questo punto, visti i vantaggi che essere felici comporta, ci si potrebbe chiedere se esistano delle strategie che ci aiutino a sentirci felici o a recuperare il buonumore quando lo si è perso. In questo senso D’Urso e Trentin (1992) riportano una serie di attività e atteggiamenti che si accompagnano o favoriscono uno stato di benessere. Tali attività o atteggiamenti sono:
– Non attribuire interamente a noi stessi la responsabilità degli eventi spiacevoli che ci capitano.
– Stare in compagnia di persone felici.
– Fare esercizio fisico.
– Non confrontare la propria condizione (salute, bellezza, ricchezza ecc.) con quella degli altri.
– Individuare quello che ci piace nel nostro lavoro e valorizzarlo.
– Curare il proprio aspetto e la salute.
– Riconoscere i legami tra cattivo umore e cattivo stato di salute: spesso è il malessere fisico, più che altri fattori oggettivi, a determinare cattivo umore.
– Dimensionare le proprie aspettative alle proprie capacità e alle opportunità medie della situazione.
– Aiutare le persone che accettano il nostro aiuto.
– Non fare progetti a lunga scadenza.
– Frequentare persone con cui si sta bene e in armonia.
– Non trarre conclusioni generali dagli insuccessi.
– Fare una lista delle attività che ci fanno sentire di buon umore e quindi praticarle.
A cura della Dott.ssa E. Maino
Fonte: http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/feli.htm
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