La “Sindrome di Stoccolma”
di Luca Bonmartini
La Sindrome di Stoccolma è quel determinato disturbo psichico che porta le vittime di violenza fisica oppure psicologica, a provare dei sentimenti positivi nei confronti del loro carceriere.
Questo termine deriva da un fatto avvenuto nel 1973, in cui durante una rapina in una banca di Stoccolma, i rapinatori fecero quattro ostaggi tra gli impiegati. Li tennero in prigionia per sei giorni e dopo la liberazione questi ostaggi manifestarono un sentimento di gratitudine verso i rapinatori, ed un sentimento invece negativo verso le forze dell’ordine.
Incredibile vero? Viene infatti ribaltato il binomio vittima e carnefice. In poche parole, quello che dovrebbe apparire loro come un carnefice, con il passare dei giorni può essere trasformato dalla mente come una semplice persona verso la quale è possibile addirittura provare amore.
Questo particolare fenomeno è stato riconosciuto solo dopo anni come disturbo, e può essere causato da diverse ragioni. Addirittura, come è successo nel primo caso documentato, una volta che il prigioniero viene liberato o comunque il periodo da incubo finisce, non è detto che la sindrome in questione scompaia.
Si è dedicata a questa sindrome una parte in diversi film ed oggi se ne discute ancora moltissimo con l’ultimo caso di attualità riguardante la liberazione di Silvia Romano, liberata dopo un anno e mezzo di prigionia da parte di terroristi islamici. Dove la ragazza anziché avere un senso di disprezzo/odio verso i suoi rapitori, si è convertita alla loro stessa religione, descrivendo la sua prigionia con: “sono sempre stata trattata bene”.
La “Sindrome di Stoccolma”: in che cosa consiste esattamente
La Sindrome di Stoccolma è una particolare condizione psicologica, riconosciuta dagli esperti come vero e proprio disturbo. La mente di chi ne è affetto è come offuscata da una visione totalmente distorta della realtà, che fa credere che il proprio carnefice o comunque il responsabile delle violenze fisiche o psicologiche subite, sia una persona degna di essere amata.
La vittima infatti proprio durante il periodo in cui viene tenuta prigioniera dal suo carceriere, dove può subire abusi, violenze, privazioni, può provare sentimenti positivi verso la persona con la quale è costretta a subire quella determinata situazione.
Un caso reale
Le caratteristiche della Sindrome di Stoccolma però non terminano qui. Personalmente ho conosciuto bene una persona che poteva essere effettivamente affetta da questo disturbo. La situazione che osservavo mi è rimasta talmente in testa e mi ha talmente toccato, che ho deciso di scrivere questo semplice articolo. Articolo dove ciò che scrivo sembra descrivere al meglio ciò che succedeva all’interno della famiglia di questa persona.
All’inizio non capivo come una prigione psicologica (non era fisica) era diventata quasi un’oasi felice, un “luogo” di cui sentirne perfino la mancanza se avveniva una lontananza da quelle persone che la tenevano, con i loro più meschini comportamenti e strategie manipolatorie in una prigionia psicologica.
Non esistevano in questo caso catene fisiche, le porte erano aperte, la vittima aveva l’illusione di essere libera, ma l’orrore psicologico al quale era soggetta la teneva legata come la peggior gabbia.
Quando alcune volte capitavano momenti di lucidità di questa persona e tentava di ricercare semplicemente la propria libertà e felicità, i suoi “carnefici” tiravano il guinzaglio della manipolazione psicologica e lei inevitabilmente ritornava nella gabbia, perdendo ogni possibilità di essere se stessa.
Addirittura se le strategie manipolatorie per tenerla in prigione psicologica venivano a mancare, lei stessa quasi le cercava, proprio per la caratteristica di questo disturbo: la gratitudine, quasi l’affetto verso i suoi carcerieri.
Fortunatamente, attraverso un percorso psicologico difficile ed impegnativo, è riuscita a capire la vera realtà, è riuscita ad analizzare la situazione e ad essere una persona finalmente libera.
“La libertà di essere se stessi, la liberà di vivere è la cosa più importante nella nostra viva”.
Gli stadi, le cause e gli effetti
Non è detto che una volta che la vittima viene finalmente trovata e poi liberata, veda poi scomparire gli effetti della sindrome di Stoccolma. La mente di chi ne è affetto di solito passa attraverso diversi “step”, cioè differenti stadi, che coincidono anche con le cause del disturbo.
La Negazione e l’Illusione
Una volta che la persona viene rapita o comunque subisce una violenza, una prima reazione possibile può essere quella di negare il problema. In questo modo infatti potrebbe sentirsi meglio e iniziare a pensare che in realtà il problema non esista o non sia mai esistito che non sia stato così un incubo, e che alla fine non è grave se è stata maltrattata o se è prigioniera.
L’illusione è uno dei motivi principali dell’inizio della sindrome, anche perché lo stadio successivo è quello di credere che se si provasse a parlare con il carnefice, forse quest’ultimo potrebbe diventare “più umano” e quindi più ragionevole.
I liberatori diventano Nemici
Più passano i giorni però e più il disturbo in questione può peggiorare, anche perché potrebbe verificarsi un effetto molto particolare: sia l’ostaggio sia il carceriere potrebbero “allearsi” contro le forze dell’ordine, gli investigatori o chiunque fosse preposto a risolvere il problema.
L’astio che la vittima può riversare nei confronti di un possibile liberatore è anche dovuto al fatto che con il passare del tempo, la mente è indotta a cercare di farsi forza e provare a pensare che presto “l’organo salvatore” arriverà. Più trascorrono i minuti, le ore ed i giorni però, più si perde la cognizione del tempo. In questo modo, l’attesa viene delusa e di conseguenza questo può causare un sentimento ostile verso le forze dell’ordine. Questo però non è tutto.
Il Passato che ritorna
Un altro importante stadio del disturbo, consiste nel fatto che durante il periodo in cui l’individuo subisce violenze o comunque non è libero, affronta una fase difficile in cui ragiona sul suo passato, un ragionamento non sano, un processo forzato dalla prigionia dove si inizia a dire che appena potrà, appena sarà libero, cercherà di fare di tutto per poter migliorare la sua vita, che non ha mai vissuto o non ha mai vissuto a pieno. Si tratta quindi di un vero e proprio tuffo nel passato, come se la mente ripercorresse all’improvviso tutti i ricordi e li facesse riaffiorare.
Conclusioni
Come si è visto, si tratta di una sindrome piuttosto particolare, che fa provare in modo totalmente disfunzionale a chi è vittima di violenze, un amore o sentimenti positivi verso chi la priva di libertà. Esiste anche la Sindrome di Stoccolma in amore o in contesto familiare come l’esempio che ho fatto sopra. Un disturbo che è pieno di sfaccettature, stadi, cause ed effetti. Non è così semplice da descrivere e non è altrettanto semplice da affrontare per poterne uscire.
Come curare la Sindrome di Stoccolma? La figura di uno psicoterapeuta con grande esperienza è il primo passo per poter affrontare questa brutto e difficoltoso disagio.
Articolo di Luca Bonmartini – Personal Trainer
Fonte: https://bioallenamento.it/stili-di-vita/la-sindrome-di-stoccolma-in-un-caso-reale/
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