Alimentazione vegetariana e nutrizione
Le diete vegetariane risultano non solo nutrizionalmente adeguate in tutte le fasi dello sviluppo umano, ma sono anche salutari e possono essere valide per la prevenzione e nel trattamento di alcune malattie.
“Luciana Baroni” è presidente della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, nota per essere stata la prima associazione no-profit in Italia, a studiare la dieta vegetariana da un punto di vista scientifico. La S.S.N.V. non ha mai volutamente concentrato la propria attività sull’aspetto etico della scelta vegetariana, ossia il rispetto per la vita degli animali, scegliendo invece di fornire esclusivamente una corretta conoscenza dei “pro e contro” di questo tipo di dieta e stile di vita, che si sta diffondendo sempre più in Occidente.
Ancora negli anni novanta, in Italia, la conoscenza medico-scientifica sull’alimentazione vegetariana era molto scarsa. Tutta la letteratura a riguardo, era molto limitata e frammentaria. Il primo obiettivo dell’associazione quindi è stato quello di scandagliare tutta la documentazione esistente in materia, e ordinarla al fine di fornire dati scientifici certi.
ll numero di persone che scelgono di nutrirsi senza includere derivati animali nella propria dieta, e quindi rispettando la vita animale, è in continuo aumento nei paesi Occidentali:
Le diete vegetariane risultano non solo nutrizionalmente adeguate in tutte le fasi di sviluppo dell’uomo (al contrario di ciò che sostengono i nutrizionisti tradizionalisti), ma sono anche molto più salutari. Possono inoltre essere valide nella prevenzione e nel trattamento di alcune malattie importanti come il diabete, l’ipertensione, l’obesità, alcuni tipi di cancro, etc. I nutrizionisti che non conoscono questo tipo di alimentazione, sollevano obiezioni che si basano su studi scientifici ormai obsoleti, mostrando un assurdo pregiudizio. Tutti i medici dovrebbero essere a conoscenza di come le abitudini e lo stile di vita influenzino la salute, ma spesso è molto più semplice e veloce prescrivere farmaci, piuttosto che intervenire sulle abitudini di una persona.
Abbiamo assistito spesso a veri e propri attacchi alla dieta vegana, da parte dei media tradizionali. Perché? La dieta vegana è adatta all’uomo o è artificiosa?
Il discorso è ampio e complesso. Vi è stata una sorta d’evoluzione degli attacchi, dei cambi di strategia. In passato attaccavano la dieta vegetariana intesa come latto-ovo-vegetariana, mentre adesso vediamo i nutrizionisti tradizionalisti riconoscere quest’ultima e accanirsi invece contro la vegana. Quando la vegana sarà accettata forse attaccheranno altre diete. Il problema è che ci sono troppi interessi economici in gioco.
La maggioranza dei terreni agricoli sono destinati agli allevamenti, dato che la produzione di carne e derivati necessita di una “quantità abnorme” di acqua e vegetali:
I sussidi pubblici sono quasi completamente destinati alla produzione di carne e derivati, mentre chi produce cibi vegetali sani per uso umano, riceve pochi aiuti e spesso si trova in una situazione economica svantaggiosa, se non di vera e propria sopravvivenza. Paradossalmente ci troviamo nella strana situazione per cui la produzione di cibo nocivo alla salute umana, viene fortemente sostenuta dai governi, tanto da permettere a questa di arrivare nel mercato con prezzi stracciati, mentre il cibo buono di qualità, ha costi elevatissimi.
In un certo senso vogliono che la gente si nutra in quel modo – perché è ovvio che i prezzi veicolano anche le scelte alimentari, a prescindere da quelli che possono essere gli effetti sulla salute umana e sull’ambiente – e forse proprio per questo, viene fatto del falso allarmismo sull’inadeguatezza delle diete vegetariane e vegane, spesso senza cognizione di causa, per difendere certi interessi. Sarebbe interessante investigare sul perché non è possibile in Italia far luce sugli introiti che riguardano il rapporto tra sussidi pubblici e produzione industriale di carne, derivati e cibo spazzatura in generale.
Non vi è dubbio che il consumo di carne e derivati sia una cosa indotta dalla cultura. Ci sono infatti società che non si nutrono di carne, altre che non si nutrono di latte, e via dicendo. Il latte, ad esempio, è un alimento pensato solo ed esclusivamente per permettere ai piccoli di una data specie di crescere fino allo svezzamento. Anche i piccoli dell’uomo non fanno eccezione e sono in grado di digerire il latte fino all’età di cinque anni, grazie ad un enzima chiamato lattasi, ma poi non ci riescono più.
Studi scientifici hanno dimostrato che il consumo di latte non protegge nei confronti dell’osteoporosi:
È vero che vi è una percentuale di individui, nel nord Europa, che ha sviluppato una mutazione genetica che permette loro di continuare a produrre lattasi e quindi di digerire il latte anche da adulti, ma questa rimane comunque una minoranza. La maggior parte della gente è intollerante al latte, non riesce a digerirlo e manifesta coliche addominali, meteorismo e diarrea. Come si può quindi considerare “naturale” un cibo che può essere digerito solo da soggetti “mutanti”. Studi scientifici hanno inoltre dimostrato che il consumo di latte, nonostante quel che ci vogliono far credere, non protegge affatto nei confronti dell’osteoporosi, anzi.
Ci sono degli studi fatti su intere popolazioni, che ci suggeriscono che le diete a base di vegetali siano le più adatte per l’uomo. Le società che tendono ad una dieta vegetariana sono infatti più longeve. Oggi abbiamo una mole enorme di informazioni a riguardo, e se un medico-nutrizionista ha a cuore il benessere dei propri pazienti e delle persone in generale, non dovrebbe ignorare questi dati. Il modello vegetariano dovrebbe essere, in generale, il modello da seguire e da proporre alla popolazione. Questo non significa che tutti debbano diventare vegetariani, ma magari tendere a questa dieta il più possibile.
Ferro e vitamina B12:
Gli attacchi che spesso vengono fatti alle diete senza proteine animali, sono relativi alla difficoltà di assumere la vitamina B12 e il ferro di tipo “eme”. Ma entrambe le obiezioni sono prive di sussistenza. Il ferro e le proteine sono infatti abbondantemente presenti nei cibi vegetali e anche una dieta vegana ne è ricca. È vero che il ferro eme è presente solo nelle carni, e ha la caratteristica di avere un assorbimento del 20% contro il 2-20% del ferro “non eme”, cioè quello presente nei legumi ad esempio. Tuttavia, si può sopperire facilmente a questo problema assumendo le giuste dosi di ferro non eme, presente in abbondanza nei legumi ed anche nei cereali. Inoltre, va detto che sono a rischio di carenza di ferro tutti gli individui che eccedono nel consumo di derivati del latte, che siano vegetariani o no.
Per quanto riguarda la B12, bisogna dire che questa è prodotta solo ed esclusivamente da alcuni microrganismi, di cui sia noi che gli animali ci nutriamo indirettamente attraverso il consumo di cibo contaminato da questi batteri, creando vere e proprie riserve corporee. In quelle aree del globo, i cui i territori sono contaminati da questi microrganismi, non vi sono infatti carenze di B12 nelle popolazioni, le quali se ne nutrono indirettamente attraverso le piante, l’acqua ecc. Viceversa possono risultarne carenti gli individui che abitano aree povere di B12, a prescindere dal tipo di dieta.
Inoltre, carenze di B12 sono legate alla diversa capacità di assimilazione della stessa da parte degli individui, e questo di nuovo a prescindere dalla dieta. Anche l’avanzare dell’età, rappresenta in questo senso un fattore di rischio. In entrambi questi casi è più consigliabile un integratore, piuttosto che aumentare il dosaggio di carne e derivati. Inoltre, una delle cause della mancanza di B12 nelle diete vegane è anche da ricondurre alla necessità di lavare bene i cibi vegetali, che sono stati trattati con pesticidi. In sostanza, l’uso di pesticidi ci porta ad eliminare questi microrganismi dai cibi, lavandoli. Quindi questo problema della mancanza di B12, dipende anche dalla criticità del periodo storico che stiamo vivendo.
In base agli studi effettuati, in sostanza, la dieta vegana appare in assoluto la più adatta per l’uomo. Se poi vogliamo aggiungere anche le altre motivazioni quali: il rispetto per la vita degli animali, lo spreco enorme di energie e di cibo per gli allevamenti, l’aspetto ecologico ecc., ecco che il quadro si ultima.
Esiste un dibattito in corso tra quegli studiosi che sostengono che l’uomo sia naturalmente predisposto al consumo di carne e derivati e coloro che invece accostano l’uomo ai frugivori. Qual è a tal proposito il dibattito nelle facoltà di medicina?
In generale, diciamo innanzitutto che non è detto che ciò che veniva sostenuto dalla scienza cinquanta o vent’anni fa, sia ancora valido oggi, così come ciò che affermiamo oggi, potrebbe essere confutato o riconfermato da nuovi studi e scoperte in futuro. Per quanto concerne l’alimentazione, nonostante sia stato sostenuto per molto tempo che l’uomo rientri tra le specie onnivore, oggi sembra sempre più evidente la connessione tra l’uomo e le grandi scimmie frugivore. I nostri canini, l’intestino troppo lungo, nulla ci avvicina agli onnivori e ancor meno ai carnivori, siamo invece strutturalmente frugivori.
È vero che durante il corso dell’evoluzione ci siamo nutriti anche di carne, ma lo abbiamo fatto per necessità. L’intelligenza e la capacità di adattamento hanno fatto si che l’uomo, in periodi in cui il clima sul pianeta era molto estremo, si alimentasse anche di cibi non molto adatti alla sua fisiologia, ma comunque in grado di dare del nutrimento e assicurare la sopravvivenza e la continuazione della specie.
Tornando a tempi più recenti, bisogna sottolineare poi, che la tanto acclamata dieta mediterranea, quella dei centenari per intenderci, prevedeva un consumo di carne inferiore a quello di oggi. La dieta mediterranea “tradizionale” prevedeva infatti un consumo di carne minimo, di circa una volta a settimana o anche al mese.
Lo sforzo del cambiamento:
Tutti i vegetariani, prima di diventare tali, si nutrivano di carne e derivati: come si suol dire… “occhio non vede, cuore non duole”. Pochi purtroppo si fermano a riflettere, per cercare di fare il giusto collegamento tra la bistecca che hanno nel piatto e tutto ciò che questa richiede per essere prodotta: la sofferenza e uccisione degli animali, e lo spreco di risorse. È un po’ il controsenso dell’animalista, che possiede cani e gatti che adora, ma se poi capita non disdegna la porchetta. Entrano in gioco sicuramente le abitudini e la pigrizia. Se si decide di smettere di mangiare carne bisogna infatti anche cambiare le proprie abitudini, riorganizzare la propria dieta, imparare a cucinare cibi che non prevedono l’uso di carne e quindi anche uno sforzo e un impiego di tempo. Ci si deve mettere in gioco. Tutti i vegetariani ci sono passati.
Fonte: http://www.stampalibera.com/?p=43660
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