Uno Psicofarmaco… è per Sempre!
di Beatrice Mele
Tutto fuorché privi di effetti collaterali, gli psicofarmaci continuano a essere prescritti e assunti per una fascia sempre più ampia di disturbi e disagi.
Secondo l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, l’Italia è il quarto paese in Europa per la spesa relativa all’acquisto di psicofarmaci, un prodotto che interessa 12 milioni di italiani. Gli antidepressivi sono i più utilizzati, seguiti dagli ansiolitici e dagli ipnotici. Tutti insieme costituiscono una tra le maggiori fonti di entrata per le case farmaceutiche.
Fondamentali in alcuni pochi casi, deleteri alla lunga in altri, superflui quando impiegati per affrontare disturbi che non appartengono alla sfera biochimica della persona, ma all’insieme di relazioni che ha con se stessa e con gli altri, gli psicofarmaci hanno raggiunto una popolarità mai così alta anche tra bambini e adolescenti. Per capire cosa stia succedendo, abbiamo chiesto a Piero Cipriano, psichiatra e autore di libri che pongono l’accento sulla “cura” e sulla “malattia”, due termini da prendere con le pinze nel “manicomio chimico” in cui spesso ci autoconfiniamo.
Come funzionano gli psicofarmaci?
Non lo sappiamo e chi dice di saperlo, mente, bleffa. Negli anni ’60, dopo che nel decennio precedente furono individuate delle molecole che cambiavano alcuni stati psichici (la cloropromazina atarassizzava gli agitati e gli eccitati e fu chiamata neurolettico prima e antipsicotico poi; il clordiazepossido blandiva l’ansia e fu la capostipite delle molecole benzodiazepiniche dette ansiolitici; l’iproniazide era un antitubercolare che eccitava i tubercolotic e fu detto energizzante psichico e dopo antidepressivo), furono trovati dei neurotrasmettitori cerebrali, pochi, e sulla base di questi, ipotizzate due cause relative ai principali disturbi psichici: poca serotonina e noradrenalina nella depressione, troppa dopamina nella psicosi.
Ecco, sono passati sessant’anni e siamo ancora fermi lì, tutto sommato. Per cui: gli psicofarmaci continuiamo a prescriverli ex adiuvantibus come suol dirsi, ovvero per giovamento, senza avere la minima idea di come funzionino. Abbiamo un nome, però: “farmaci che hanno effetto sulla psiche”. Definizione vaga. Anche le cosiddette droghe, però, ovvero le molecole illegali, hanno effetto sulla psiche. Solo che le droghe sono illegali e gli psicofarmaci sono, invece, legali. Interessante è quando i rapporti si ribaltano, e uno psicofarmaco diventa droga, e una droga diventa psicofarmaco.
Chi ha bisogno di prendere gli psicofarmaci?
Per un periodo il più limitato possibile, al momento, in mancanza di molecole migliori, sono indicati per coloro che hanno una crisi psichica acuta e grave, che non è possibile spegnere o risolvere, in tempi brevi, senza farmaci. Un eccitamento dell’umore estremo, sintomi deliranti o allucinatori che alterano drammaticamente il rapporto con la realtà, episodi depressivi profondi e con idee suicidarie, per fare alcuni esempi.
Chi non dovrebbe assumere psicofarmaci?
Non dovrebbero assumerli, o potrebbero farne a meno, le persone che hanno difficoltà esistenziali o sintomi gestibili diversamente. Purtroppo c’è stata, negli ultimi 40 anni, una deriva dei sistemi nosografici psichiatrici (i DSM) che hanno sempre più “patologizzato la normalità” e trasformato vissuti fisiologici in patologici (lutto, timidezza, eccetera), convincendo le persone che per guarire questi vissuti è necessario assumere psicofarmaci.
Una persona che ha un lutto, per esempio, necessita di tempo. Fino al III (1980) il tempo del lutto era un anno, dopodiché la tristezza che si prolungava veniva rubricata a depressione e eventualmente trattata con gli antidepressivi. Con il DSM-IV (1994) il tempo si riduce a due mesi. Nel 2013 (DSM-5) si contrae a due settimane. Ora è molto più facile essere considerati depressi e ricevere prescrizioni di antidepressivi. Con molta facilità, anche dal medico di base. E’ solo un esempio, ma vale per molte altre diagnosi. È l’epoca del “desease mongering”.
Per la sua esperienza crede che se ne faccia un uso eccessivo?
Direi proprio di sì. E il loro uso eccessivo crea dipendenze feroci che – iatrogenicamente – creano malati a vita che non ci sarebbero stati senza queste dipendenze. L’OMS dichiara quasi 400 milioni di depressi e 60 milioni di persone con disturbo bipolare. E gli antidepressivi, dati questi numeri, sono il vero affare per le case farmaceutiche.
Ricordo che negli USA il loro consumo, negli ultimi 20 anni, è aumentato del 400%. Negli USA c’è perfino la pubblicità degli antidepressivi. Una vera istigazione all’assunzione. E alle case farmaceutiche è convenuto che i manuali diagnostici DSM-III, IV e V allargassero il numero di diagnosi e i confini diagnostici.
D’altra parte, è noto che la maggior parte degli psichiatri dell’American Psychiatric Association che ha contribuito alla scrittura dei DSM, era in rapporto economico con le case farmaceutiche. Voglio dire: ciò che muove la prescrizione a pioggia degli psicofarmaci (e il loro uso perfino cosmetico), è la facilità e l’eccesso di diagnosi condizionata da questi manuali.
Sembra che negli Stati Uniti si muoia più per abuso di psicofarmaci prescritti legalmente che per eroina. Può spiegarci come è possibile?
Appunto perché sono molecole legali che vengono prescritte a milioni di persone, che determinano dipendenze, e tendenza a un contino aumento della posologia. I nuovi antipsicotici, per esempio, determinano la cosiddetta “sindrome metabolica”, ovvero aumento di peso, malattie cardiache, diabete, con riduzione dell’aspettativa di vita. Molte persone assumono questi farmaci (benzodiazepine o antipsicotici) come cocktail suicidario. Molto spesso inoltre gli antidepressivi danno luogo a un quadro grottesco detto “episodio misto dell’umore”, in cui una persona si sente depressa e euforica al tempo stesso (vedi il caso del pilota Lubitz, che si uccise con 150 persone a bordo di un aereo).
Cosa ne pensa delle sperimentazioni in corso sugli psichedelici come ketamina, MDMA, psilocibina, Lsd (tra tutti l’unica sostanza priva, fino a prova contraria, di effetti collaterali)?
Ne penso molto bene. Soprattutto dei cosiddetti psichedelici (sia quelli naturali che di sintesi), molecole molto interessanti, ingiustamente proibite, rese illegali, fino a diventare, nell’immaginario collettivo, le più temibili delle droghe (quelle che bruciano il cervello, si diceva). Trovo interessante non solo il cosiddetto rinascimento psichedelico di cui si parla da una decina di anni, ma tutte le ricerche rigorose che dimostrano l’enorme valenza terapeutica dell’Lsd (sia nella cosiddetta terapia psicolitica con macrodosaggi che nei microdosaggi), della psilocibina dei funghi magici, della mescalina dei cactus, dell’ibogaina della radice iboga (a quanto pare efficace nel risolvere la dipendenza da eroina), del dmt derivato da liane o rospi (il Bufo Alvarius).
Cosa ne pensa invece dell’uso della Cannabis per trattare questi disturbi?
La cannabis entra in un capitolo a parte, nel senso che non fa parte del gruppo degli psichedelici. Dunque non nutro per la cannabis le stesse aspettative e lo stesso interesse che riservo agli psichedelici. Ha certamente delle potenzialità terapeutiche, di sicuro per gli effetti ansiolitici e miorilassanti del cannabidiolo; ho invece dei dubbi rispetto al Thc a elevate concentrazioni delle piante di nuova ibridazione. Temo sia troppo potente e possa slatentizzare o attivare vissuti psicopatologici in un certo tipo di persone. Insomma, mi pare meno sicura in ambito psichiatrico.
Secondo uno studio pubblicato su Lancet nel 2016, gli antidepressivi sono risultati non efficaci su bambini e adolescenti. Quanto è diffuso invece il loro utilizzo in questa fascia di età?
Purtroppo c’è una vera e propria colonizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza da parte della psichiatria e della psicofarmacologia. Sempre più facilmente i bambini irrequieti o semplicemente troppo attivi ricevono una diagnosi di ADHD e dunque prescrizione di anfetamine. In un cervello in crescita ciò determina deplezione di dopamina, e dunque nel corso di qualche mese o anno quel bambino irrequieto diventa troppo calmo, e allora riceve antidepressivi, coi quali nel giro di qualche anno rischia di andare in eccitamento maniacale e ricevere stabilizzatori dell’umore e antipsicotici. Insomma, con questa reazione a catena di iatrogenia, lo si avvia precocemente a una carriera di persona con disturbo psichico.
Articolo di Beatrice Mele
Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/uno-psicofarmaco-e-per-sempre-la-fabbrica-dei-malati-a-vita/
Sono un docente di sostegno e mi ritrovo spesso ad avere alunni con problemi di ipertattività o depressione, psicosi varie, autismo. Spesso sono i miei alunni sono soggetti a terapie farmacologiche che rendono inutile ogni possibilità di svolgere una efficace attività educativa.
Un saluto,
Prof. De paolis.