La Formula della Servitù
di Mauro Vanzini
La Formula della Servitù e il nostro vero Potere d’Acquisto
Dalla parte del consumatore
Vorrei esporre alcune riflessioni sul mercato consumistico dei nostri tempi, e su come riesca ad influenzarci così efficacemente, tanto da tenerci impigliati dentro la sua rete, fatta di mille tentazioni e di altrettante costrizioni.
Per svolgere la mia idea, ma senza alcuna pretesa di formulare teorie economiche, ho scritto “La Formula della Servitù“, un libro nato come reazione alle quotidiane disavventure del consumatore medio, in cui cerco di analizzare con metodo semplice ma rigoroso il consumismo. Nel libro proporrò la mia personale soluzione, la più ovvia, alla malattia della nostra economia, che è solidamente basata sul consumismo, ovvero sulla tendenza e sull’induzione all’acquisto di beni fine a se stesso. Si tratta di considerazioni semplici, ordinarie, che forse proprio per la loro ovvietà vengono spesso sottovalutate.
Tutti crediamo che le nostre azioni quotidiane siano saldamente guidate da noi stessi, dal nostro buon senso. Ma in quanto consumatori, grazie alla pubblicità e ad un’efficace propaganda fatta di mode, conformismo e ideologie consumistiche e capitalistiche, le nostre abitudini sono state piano piano sottratte al controllo della nostra intelligenza. Noi acquistiamo merce per restare nel sistema, stringendo sempre più il giogo del denaro, per paura di perdere le comodità del mercato. Ma in questo modo abbiamo perso qualcosa di molto più prezioso, la libertà!
Consumatori o cittadini?
Non uso la parola “consumatori” con orgoglio. Considero le associazioni di consumatori importanti forme di aggregazione, utili sul piano pratico nella lotta contro le truffe su vasta scala perpetrate da aziende di distribuzione, grandi marchi internazionali, industrie e compagnie finanziarie. Ma come ogni altra organizzazione, anche quelle dei consumatori portano con sé il rischio di un’eccessiva identificazione da parte degli aderenti. È questo lo stesso “effetto collaterale” della fede ideologica in un partito politico, o del tifo per una squadra di calcio. Per chi crede che essere consumatori per costrizione sia un po’ come essere schiavi, l’accettazione di questa etichetta è dolorosa, è una condizione consapevolmente temporanea, nell’attesa di riappropriarsi del perduto stato di “cittadini”. La lotta delle associazioni dei consumatori è giusta, ma rappresenta ancora un “gioco dentro il gioco“. Com’è possibile rivoluzionare la nostra economia dei consumi, solo moltiplicando e affinando le norme che regolamentano il rapporto tra produttori e consumatori? Queste norme restano ancora un’emanazione dei poteri che controllano l’intera economia, a partire dalle sue basi ideologiche. Viviamo in una società dove la produzione agricola ha ormai pari dignità morale delle vendite allo scoperto di titoli di Stato. Come possiamo sederci ad un tavolo, dialogare con istituzioni statali che hanno come unico scopo il mantenimento dei privilegi privati dei grandi potentati finanziari, a danno dei più deboli?
Volenti o nolenti, i cittadini degli Stati dove il denaro è l’unico fondamentale veicolo del valore, sono dei consumatori. Questo fatto non è intrinseco nell’utilizzo del denaro, ma dipende da come – e da quali soggetti – il denaro è amministrato. Essere consumatori, non è una scelta che facciamo nel momento in cui andiamo al mercato ad acquistare ortaggi, o quando entriamo dentro un’agenzia assicurativa a stipulare una polizza. Noi siamo consumatori per imposizione di un sistema economico, finanziario e fiscale. Questo declassamento da cittadini a consumatori, è una condizione che ognuno ha ereditato alla nascita. Non è un caso se esistono contabilità inquietanti, come quella che calcola la frazione di debito che ogni nascituro già possiede, prima ancora di mettere il naso nella sua nuova patria. Accettare queste logiche, significa piegarsi ad uno Stato esattore, che marchia ognuno con il tatuaggio indelebile del debito dello Stato, ognuno obbligando, per cittadinanza, al risarcimento di tale debito con il lavoro e il pagamento delle tasse.
Per il singolo individuo, tirarsene fuori è impossibile. La società è come un transatlantico che solca le acque dell’oceano caotico della realtà. La sua inerzia è impossibile da affrontare per il singolo passeggero, modificarne la rotta è il compito di tutti noi cittadini, uniti insieme da quel profondo buon senso che ognuno può ritrovare in sé. Questo sentimento positivo, potremmo chiamarlo coscienza, anima, cuore. È proprio dell’uomo come persona, come individuo, e il suo risveglio è un processo naturale, ordinario. Il messaggio del popolo dei cittadini alle forze inanimate cui oggi è assegnato l’incarico di governare, sarà un “processo costruttivo di risonanza”, un’azione concreta la cui forza si fonderà sull’unicità del cuore umano.
La spesa insegna
Queste riflessioni partono dalla spesa al supermercato, da un’osservazione più attenta delle “strane” oscillazioni dei prezzi. Come spiegazione, non possono bastarci le semplici parole “inflazione”, “speculazione”, “crisi”, “globalizzazione”. Tutte parole chiave attinenti, ma il cui significato vero e profondo non è chiaro se non agli esperti di economia. In Italia, per anni è andata di moda la facile teoria secondo cui i cittadini italiani confondevano l’euro con lemille lire, ed essendo sfortunatamente il cambio lira/euro pari a 2000 circa, questo avrebbe fatto raddoppiare i prezzi. Non convince. Per lo stesso improbabile fenomeno, se il cambio fosse stato a 500 lire/euro, i prezzi si sarebbero dimezzati… c’è da dubitarne!
Da quando è entrato in vigore l’euro, le curve dei prezzi hanno assunto vita propria, seguendo un’evidente e miserabile volontà di confondere e truffare. Questo tipo di variazioni dei prezzi sono regolate in tempo reale sulla fiducia dei consumatori, sull’inganno del messaggio pubblicitario, sulle mode, e perfino sulle paure e sulle crisi politiche e militari.
Al cittadino comune non è dato sapere quali siano le “armi normative” che hanno permesso questa degenerazione morale dell’economia, quali siano state le leggi, nazionali o sovranazionali, che hanno definitivamente scatenato l’accanimento della “speculazione consumistica” da parte del mondo finanziario ed economico. Ma in fondo non è così importante, perché all’origine di questo parossismo capitalistico ci siamo tutti noi, con il nostro egoismo e i nostri futili vezzi. Oggi possiamo percepire chiaramente la guerra che stiamo combattendo. Da una parte siamo schierati noi cittadini, insieme alle nostre coscienze, chiamati tutti a comprendere che la società sta oggi comodamente incorporando lo scheletro del freddo mercato delle inutilità; dall’altra ci sono le forme mentali materialistiche, ormai pienamente incarnate dentro i forti poteri finanziari che ci governano, dall’ombra delle nostre cosiddette democrazie. Questi poteri non sentono crisi, e anzi delle crisi si nutrono come ingordi parassiti. Purtroppo, nell’uomo di oggi è ancora ovunque in uso l’orrenda prassi di trarre vantaggio dai problemi altrui, nei rapporti interpersonali, così come in quelli commerciali e di lavoro, nelle lotte di potere e nelle relazioni internazionali. Ammesso questo, viene il sospetto che le crisi economiche siano in realtà vere e proprie guerre, combattute dai diversi potentati economici che si spartiscono il globo, secondo scacchieri e domini che non comprendono solo gli Stati, ma anche colossi industriali e imperi finanziari, eserciti nazionali e mercenari, e organizzazioni internazionali.
I consumatori, bisogna dirlo, sembra stiano dormendo. Nella gestione dei propri risparmi, commettono quotidianamente errori grossolani, distratti dal messaggio pubblicitario e dalle mille frivolezze in saldo perenne. La pressione del sistema industriale e finanziario sul consumatore è enorme, e questa non è solo una pratica degenere tacitamente seguita, ma è anche un’indicazione chiaramente codificata nelle norme e nelle leggi che regolano i vari aspetti della vita dei consumatori, in special modo l’aspetto fiscale. Con pochi conti di aritmetica elementare, possiamo facilmente dimostrare che siamo schiavi di un sistema statale che utilizza il fisco per sottrarci gran parte del valore che noi stessi produciamo attraverso il lavoro. Questa appropriazione è indebita, perché non va a vantaggio della cosa pubblica, se non in minima parte. La perenne rapina di cui siamo vittime, alimenta una piramide di potere privatistico, il cui vertice coincide con le grandi signorie finanziarie. Il denaro, il loro denaro, ci rende consumatori!
La formula della servitù
Nel libro sintetizzo queste considerazioni e questi semplici conti in una sorta di “formula della servitù”, ovvero uno schema aritmetico di come il cittadino, per il sistema statale ed economico, sia essenzialmente un lavoratore-consumatore, un’unità media il cui diritto-dovere è quello prima di lavorare, e poi di riversare il salario nel mercato. Solo così il grande motore dell’economia può continuare a girare, grazie al ruolo essenziale di quellepompe ri-circolatrici del denaro che sono iconsumatori. Lo Stato impone tasse di vari tipi e denominazioni alle diverse categorie sociali e produttive: le tasse sul lavoro, l’IVA, le tasse sul reddito, tasse locali, i bolli, etc. Ma è sulconsumatore che si scarica il conto finale! Traducendo sinteticamente in equazione il ciclo di vita di un bene nell’economia di mercato, ne ricaviamo una formuletta di una sconcertante banalità. Ma il punto non è la sua semplicità, ma il significato assunto dai vari termini in gioco. Se, nel bilancio reale relativo all’acquisto di un generico bene, diamo il giusto peso alla componente del lavoro umano, considerandolo cioè come l’unico possibile valore che va a formare il prezzo del bene, allora risulta evidente come per ilconsumatore questa “transazione” non sia quasi mai un affare. Calcolando un ipotetico “utile al consumo” della transazione, ciò che resta sono solo tasse e speculazione, ovvero il bilancio per il consumatore è sempre negativo!
Considerato il prezzo reale dei beni acquistati nel mercato al consumo, anche sottraendo il valore restituito dallo Stato sotto forma di servizi, il consumatore, unico soggetto di natura umana del sistema economico consumistico, paga più di quanto riceve, molto di più!
La sconvolgente formula della servitù denuncia la vera regola che caratterizza il sistema della tassazione e della speculazione privata, una regola non detta, per cui viene sempre inevitabilmente tassato l’uomo, il consumatore, la vera ed unica risorsa di ogni sistema, mentre viene premiato un mostro inanimato che si chiama azienda, attraverso la minore tassazione e dei grandi capitali degli utili aziendali “reinvestiti”. Una società in cui al cittadino venga sottratto più di quanto riceve, attraverso il sistema del lavoro, della tassazione e del consumo, non è libera. Diventa un’oligarchia finanziaria che impone ai suoi cittadini il denaro e il debito in denaro, assicurandosi in questo modo il potere assoluto su ogni singolo individuo. Ecco perché il controllo del denaro è essenziale per chi intende conservare il vero potere sui popoli, e ormai non c’è dubbio che gli Stati stiano perdendo sempre più ogni potere decisionale sulla moneta adottata nei loro territori. In particolare per l’euro, ci avevano fatto credere che fosse un mezzo di unione. E così è stato, tuttavia non si è trattato di un’unione sociale o culturale, ma solamente finanziaria. E la finanza non è mai affare dei popoli, se non in quanto costretti a subirne le onde anomale e i danni.
Shopping!
Per il consumatore, è la spesa quotidiana il vero campo di battaglia. Nel “mercato del consumo”, quando uno si trova a dover risparmiare soldi, quello che viene mondanamente definito shopping, può diventare un incubo.
L’esperienza del consumatore è istintiva e soggettiva, ricalca i bisogni personali e le priorità dell’individuo. In primo luogo, non si tratta di stabilire che cosa sia giusto comprare, e cosa no. Ciò che importa è piuttosto l’attenzione posta di fronte all’offerta del mercato, che spesso ci bombarda violentemente con un messaggio pubblicitario astuto e demente nel contempo. Di fronte alle offerte di beni e prodotti, il consumatore dovrebbe mantenere un “atteggiamento privato”, libero da forzature conformistiche. Inoltre, sarebbe utile permettersi un certorancore, nel senso che quando si tratta di sopravvivere in fase di crisi, il minimo che si possa fare è “legarsela al dito“, e punire con la disaffezione l’azienda e l’esercente disonesti. Un comportamento di questo tipo non è in verità così cattivo, non rappresenta unarivoluzione sanguinaria, ma solo l’esserepadroni dei propri soldi. Si tratta semplicemente di avere più buon senso, e capire che i soldi che abbiamo sono tutto ciò che ci resta del tempo utilizzato per guadagnarli; e il nostro tempo l’unica vera risorsa della nostra vita terrena!
Questo è il nostro sogno
C’è un sogno che probabilmente molti di noi coltivano nel proprio intimo. È la naturale aspirazione ad essere indipendenti. Non si tratta dell’indipendenza dagli altri in senso assoluto, non è possibile né desiderabile seguire per davvero quella pulsione di fuga da “tutto e tutti“, che pure spesso abbiamo quando le cose vanno male, quando non ne possiamo più del vicino, della città, del lavoro. Una maggiore indipendenza materiale è invece una condizione che non può che dare l’agognata serenità, ciò che tutti in segreto perseguiamo. Autonomia è libertà. Nella nostra società, dove il denaro è l’unico veicolo del valore, e dove la legge del “dare per avere” vige in ogni aspetto delle relazioni sociali, l’autonomia materiale viene ancora grossolanamente realizzata con quella che chiamiamo “indipendenza economica”. Questa condizione però concede solo un’apparente autonomia, perché resta comunque necessario avere denaro per pagare i bisogni primari, come cibo, bollette, cure e casa. Sembrerebbe utopistica una società dove non esistessero più necessità non soddisfatte, dove il dovere di lavorare si fosse evoluto in diritto, e come tale universalmente sentito ed esercitato. Questo è il sogno di una società del futuro, che sembra stia mettendo radici nel nostro presente. Questo è il nostro sogno. In questo sogno, c’è l’energia del “vuoto quantistico“, c’è il diritto per chiunque al benessere, c’è l’armonia con la natura; non ci sono più le lobbies, mentre la politica è fatta per passione; l’industria lascia sempre il posto all’artigianato – dov’è possibile – e l’economia basata sul denaro si ritira da quelle relazioni sociali in cui non è più necessaria la stretta contabilità deldare per avere. Tutto ciò che resta è la nostra sfida per l’evoluzione e per la Pace globale, e la Bellezza. Risolta la gran parte di quei problemi materiali che oggi affliggono l’umanità, problemi che sono invece il nutrimento dei pericoloso potentati finanziari e industriali che imperano sulla nostra Terra, non ci resta che la parte più bella: lavorare per realizzare i nostri sogni.
Download gratis del libro (PDF): La Formula della Servitù e il nostro vero Potere d’Acquisto di Mauro Vanzini
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