Illusione della Realtà e Illuminazione interiore
La Realtà che ci circonda è finzione. Ciò che i nostri sensi percepiscono è illusorio, anch’esso fittizio.
Questo è quanto ci dice molta cultura odierna – si vedano ad esempio film come “Matrix” – in versioni più o meno coerenti e convincenti. Tale definizione della realtà oggettiva quale dimensione priva di concretezza, è infatti giunta dalla sapienza antica fino all’odierna cultura di massa, non senza variazioni, interpolazioni concettuali e fraintesi di ogni genere.
Ciò che non risulta essere molto chiaro, spesso, è quale senso si intenda attribuire ad un assioma tanto spiazzante quale l’impermanenza della realtà oggettiva e, come se ciò non bastasse, a questa si è ormai da tempo affiancato un suo ulteriore ed invadente surrogato, foriero di inesauribili illusioni ed allucinazioni, quale la “realtà digitale”.
La presa di coscienza secondo la quale la realtà visibile ci viene svelata come irreale, nasconde, in verità, molte più insidie di quel che possa sembrare ad un primo sguardo, in quanto, presa alla lettera, essa non può che portare dritto al più cupo nichilismo, che non a caso è stato uno degli atteggiamenti mentali e morali predominanti dei tempi recenti.
Ci sono ovviamente buone ragioni per negare ogni stabilità alla dimensione visibile, ma cosa si intenda con ciò è questione che va affrontata con prudenza e ben approfondita. I Vangeli ci invitano a non accumulare tesori dove “tignola e ruggine deturpano”, ovvero nel mondo sensoriale; ma i detti evangelici non intendono presentare una qualche teoria cognitiva: è di tesori spirituali che si parla lì, non solo di una concezione della realtà fisica.
In una chiave nient’affatto dissimile rispetto a questa, anche nella “Repubblica” platonica il mondo sensoriale – “che ci appare attraverso la vista” – è paragonato da Socrate ad una “caverna” nella quale dei prigionieri altro non vedono che ombre proiettate su un muro, credendole reali e consistenti.
Quindi, sia il Figlio dell’Uomo dei Vangeli che il più saggio dei filosofi ci dicono che questa realtà che ci circonda è solo illusione, transitoria illusione a cui noi – a causa dei nostri limiti – attribuiamo qualche stabilità e concretezza, ed è proprio attraversando tale realtà e astraendoci da essa che la nostra interiorità trova infine modo di liberarsi.
Eppure, né nei Vangeli né nelle opere platoniche ha luogo l’omissione di soccorso nella quale cade colui che si contenta di superare le apparenze per se stesso, disinteressandosi del destino altrui. Né nei Vangeli né nelle opere platoniche al risvegliato è concesso di mancare di carità.
Il prigioniero di cui narra Socrate riesce a sfuggire alla caverna delle ingannevoli ombre, ad ascendere alla visione delle realtà illuminate dalla vera luce ideale del bene, eppure in seguito ritorna dai sui ex-compagni di prigionia, con gli occhi stanchi dopo la lunga e difficile ascesa.
Egli sa adesso quale inganno si nasconda dietro le ombre proiettate sulla parete della caverna eppure – e in ciò si nasconde il vero mistero – non c’è modo per lui di essere compreso dai prigionieri ancora legati lì dentro. Andando incontro ad un destino di sofferenza e incomprensione, verrà accusato di avere intrapreso un viaggio mortificante che non ha sortito altri effetti che stancarlo e portarlo ai limiti di se stesso. Tale prospettiva ovviamente non li attrae affatto.
Ci si potrà chiedere infatti, e qualcuno lo ha di certo già fatto, quale mai sia – in definitiva – la differenza tra coloro che sono rimasti legati alle illusioni della caverna e colui che è invece asceso alle realtà superiori. La risposta sembra essere ben chiara e, almeno in questo caso, anche semplice da proferire: il prigioniero liberato, a differenza di coloro che sono rimasti nella caverna, non ha più paura di morire. Qua e là, nei dialoghi platonici, lo stesso Socrate accenna a tale differenza, anche riferendosi a se stesso. E non è una differenza da poco.
Una dinamica in qualche maniera simile la ritroviamo nei Vangeli. Il Gesù dei Vangeli discende dal mondo incorruttibile per proclamare al mondo visibile (il cosmo) la sapienza del Padre e la grazia che attende coloro che fanno la Sua Volontà, unitamente a quella del Figlio dell’Uomo.
L’unica reale differenza è che il Figlio dell’Uomo non è un risvegliato, bensì il primo essere in assoluto: colui che è da sempre sveglio, potremmo dire, in quanto “Adamo Spirituale”. La sua grazia discende nella caverna del mondo per illuminare i dispersi e i confusi, se vogliono e se sono destinati. Anche qui, con esiti non molto diversi, ci troviamo di fronte ad un incompreso, un testimone del Bene assoluto che viene in larga parte disapprovato e non creduto nel mondo umano, il mondo delle ombre non veritiere.
Nonostante ciò, vi è comunque e sempre un prezioso discrimine da tenere in considerazione: per quanto non veritiere siano le realtà che si presentano ai nostri occhi, è in ogni caso da esse che prendiamo le immagini e i simboli che ci riportano alla verità, come gli stessi insegnamenti socratici ed evangelici ci mostrano.
Sulla via che conduce alla liberazione, non basta dunque negare ogni concretezza alla realtà visibile, e da lì magari negare la realtà di ogni cosa, visibile o invisibile che sia, ma, nonostante le afflizioni e l’eventuale disapprovazione da parte degli altri, è soprattutto necessario un graduale approfondimento della verità, in un processo di purificazione e sublimazione che ogni uomo di fede è, presto o tardi, tenuto a fare.
Fonte: https://ignotascintilla.wordpress.com/2017/08/14/illusione-della-realta-e-illuminazione-interiore/
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