Un’etica del limite. Critica della “società postmortale”
di Marco Dotti
Viviamo in una società dove alle scienze biomediche è assegnato il diritto esclusivo di rispondere alle domande sulle cose ultime, fondamentali per la vita e costitutive per la comunità. Transumanesimo, postmortalità, idea di una generazione senza padri e senza madri: segni inquietanti, spacciati per “diritti” e “libertà”, di una delega in bianco agli apparati tecno-scientifici e al nichilismo giuridico che li sostiene.
Ne discutiamo con Luciano Manicardi, vice priore della Comunità di Bose. Gli uomini, scriveva Blaise Pascal, “non essendo potuti guarire dalla morte, hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci più”. Per quanto contraddittoria possa sembrare, la riflessione di Pascal appartiene ancora a una strategia di saggezza, quella medesima saggezza, quella medesima saggezza che nel Trecento, dinanzi all’avanzata della peste, permise a teologi e artisti di elaborare una consolatoria ars moriendi. Vita e morte erano compresenti, eppure distinte. La morte era il limite, la vita la forma. “Incerta omnia, solo mors certa” insegnava d’altronde Sant’Agostino, che in quella certezza circoscriveva il rischio della vita e la sua scommessa sul senso…