L’Uomo e la Morte
di Giancarlo Barbadoro
La morte rappresenta un vero e proprio tabù sociale. La morte rappresenta un elemento estraneo alla cultura consumistica, un evento che giunge inaspettatamente e scomodamente a disturbare un sistema di vita che non la contempla.
In questo modello di società, l’individuo è agganciato alla parvenza di una continuità data dai ritmi produttivi e dai miti social, in cui trova un surrogato di esistenza e di eternità personale. L’esaltazione dei valori della sfera psichica, lo condiziona ad accettare la soggettività della gratificazione della riuscita personale, del potere sugli altri e della ricchezza, giungendo a considerarle come il vero senso della vita.
Chi muore è considerato sfortunato, poiché è sottratto al suo benessere quotidiano per essere annullato o proiettato in un ignoto crudele che lo espone all’orrore e al terrore dell’ignoto.
Meglio evitare l’argomento e tuffarsi nella finzione di eternità dell’ordinario quotidiano. Il tema della morte diviene così un tabù, oggetto di racconti del terrore e del bizzarro. Ovvero, le persone normali e sane di mente non parlano della morte, ma si dedicano alle cose dei vivi per dare un senso “reale” alla propria vita…