Chi é l’anticristo?
di Gianluca Marletta e Mario Polia
L’anticristo, parodia del Cristo e… suo paradossale ante-signano! Portatore di una finta pace e di un nuovo ordine in tutto il mondo. Operatore di falsi miracoli e “prodigi dal cielo”, ingannatore per eccellenza e seduttore delle genti. 666 è il numero della bestia. Destinato ad essere annientato da Cristo dopo aver pervertito le genti e spinto il mondo all’apostasia. Questa l’immagine del Grande Ingannatore nella tradizione biblica e cristiana.
L’anticristo o la “parodia del Cristo”
Nella tradizione cristiana, quello che noi chiamiamo “il male” è, metafisicamente parlando, un nulla. Il male, cioè, non è una forza contrapposta al bene, quasi che possa situarsi sullo stesso piano, ma, tutt’al più, una mancanza di bene. Il cosiddetto male, può certo avere degli effetti tremendi sulla realtà, può sconvolgere, devastare, macchiare o contraffare il bene, ma esso è, in ultima analisi, una mera illusione, il tentativo, tragico ma in fondo vano, di contrapporre a “Ciò che è”, “ciò che non potrebbe mai essere“. Per questo motivo, mentre il bene è eterno per definizione, il male è provvisorio: può sembrare a tratti prevalere ma, in ogni caso, è destinato all’annientamento, poiché il “nihil”, il nulla, è la sua essenza.
D’altronde, essendo nulla, il male non può creare nulla: il male non conosce vera originalità o vera creatività e pertanto, il culmine che le forze del male possono raggiungere, nella loro azione concreta, è quello di essere “ombra del bene”, contraffazione, parodia grottesca, imitazione, apparentemente simile ma in realtà antitetica di “Ciò che é”.
Nella sua aspirazione massima ad essere qualcosa, dunque, il male può tutt’al più scimmiottare il bene – Satana simia Dei, afferma la teologia cristiana[1] – cosa che gli conferisce anche il suo potere “seduttivo”, perché se il male si presentasse per quello che è, ossia un orrido nulla, non potrebbe attirare nessuno. Così, in virtù di questa tendenza alla contraffazione e alla parodia, il male e il Maligno tendono costantemente ad un’imitazione esteriore delle forme del bene: l’anti-Dio è, in tal senso, una parodia di Dio, così come la dottrina del Maligno non sarà che una scimmiottatura di quella del Cristo. Per questo motivo, anche il cosiddetto “anticristo” sarà quanto di più simile al Cristo sul piano esteriore, essendone tuttavia l’antitesi esatta sul piano interiore.
La figura dell’anticristo è particolarmente presente nella riflessione escatologica dei primi cristiani, a tal punto da essere divenuta il simbolo stesso dei “Tempi Ultimi” e delle loro tribolazioni. Presente nel Nuovo Testamento sotto vari appellativi – l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’iniquo, la bestia o, appunto, l’anticristo, termine quest’ultimo presente solo nelle lettere di Giovanni[2] – questa figura incarna le forze malefiche che, al tramonto della storia, sono destinate ad opporsi ferocemente alla realizzazione del progetto di Dio sul mondo.
In un certo senso, l’anticristo è la personificazione stessa dello spirito dei Tempi Ultimi, colui che porta a compimento le “istanze” di degrado morale e spirituale che caratterizzeranno i tempi della Fine; e d’altronde, proprio questa caratteristica di “rappresentante dei suoi tempi” ha portato gli esegeti a domandarsi se esso debba identificarsi con una figura individuale o non, piuttosto, con una rappresentazione collettiva delle forze avverse a Dio.
L’interpretazione più fedele al significato dei testi biblici[3], è forse quella che vede nell’anticristo un’entità individuale, che è però, al contempo, l’incarnazione di un’epoca che può, senza alcun dubbio, definirsi anticristica nel suo complesso. Egli rappresenterà l’esatta parodia e contraffazione del Cristo: uomo di prodigi e di potere, capace di ammaliare e sedurre l’umanità; edificatore, sulla terra, di un regno mondiale che sarà, anche in questo caso, l’esatta parodia del Regno di Dio e dove l’iniquità e la malvagità saranno apparentemente dissimulate da una falsa giustizia; destinato, infine, ad essere annientato dal Cristo al momento del suo Ritorno in questo mondo.
Nei Quattro Vangeli, in sintonia con il linguaggio ellittico tipico di Gesù, si trovano solo accenni molto generici, seppur significativi, alla realtà dell’anticristo. Gesù avverte infatti i suoi che «se qualcuno vi dirà: ecco, il Cristo è qui, o è là, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto»[4].
La caratteristica dei falsi-cristi, dunque, è principalmente quella di essere parodie del Cristo, talmente ben contraffatte da poter ingannare chiunque; come indica nel suo linguaggio simbolico anche l’Apocalisse, dove la bestia che viene dal mare – immagine dell’anticristo – è descritta come avente «due corna come un agnello (simbolo di Cristo) ma parlante come un drago»[5].
L’essenza parodistica dell’anticristo è alla radice anche di una serie di apparenti paradossi che ne caratterizzano la figura e il suo agire: il primo paradosso è che l’anticristo, pur comparendo in un’epoca caratterizzata dall’apostasia e dall’allontanamento dalla fede, è raffigurato sovente come un personaggio “religioso”. L’anticristo dunque – anche in questo esatta caricatura del Cristo – si presenterà quale personalità sacra, come afferma San Paolo: «Prima infatti dovrà venire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio»[6].
Il “figlio della perdizione”, pertanto, si opporrà certamente alla religione – addirittura, scrive San Paolo, ad ogni oggetto di culto – ma solo in vista dello scopo finale, che è quello di innalzare se stesso al rango di Dio, realizzando la più blasfema e completa delle parodie. Al “Dio che si fa uomo”, ovvero il Cristo, si contrappone così l’uomo che, nella sua protervia, ardisce a farsi Dio.
Questa caratteristica paradossalmente “religiosa” dell’anticristo si palesa, tra l’altro, nella sua capacità di operare “miracoli e prodigi”: facoltà straordinaria sulla quale molti autori cristiani si soffermano. Come Gesù, infatti, si è manifestato agli uomini anche attraverso i segni miracolosi, così pure l’anticristo si adombrerà di prodigio. Nell’Apocalisse si dice della bestia che «operava grandi prodigi (…) e sedusse gli abitanti della terra»[7]; e San Paolo afferma dell’Iniquo che «la sua venuta avverrà nella potenza di Satana, con ogni sorta di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno»[8]. Anche nella “Didaché”, uno dei più antichi testi cristiani, attribuito da alcuni studiosi agli stessi Apostoli, troviamo che «l’ingannatore del mondo darà segni e farà prodigi e la terra sarà consegnata nelle sue mani»[9].
I prodigi dell’anticristo, tuttavia, sono solo in apparenza simili a quelli di Cristo: perché mentre i miracoli di Gesù sono il riflesso della sua divinità, del suo amore e dell’altissimo livello spirituale da lui posseduto, i portenti dell’anticristo – che, con un espressione moderna, potremmo più propriamente definire facoltà paranormali – non sono altro che il riverbero di una magia infernale apparentemente spettacolare quanto vana e vuota, e sarà solo a causa della pochezza spirituale dell’umanità coeva, che l’Ingannatore potrà esercitare un tale potere seduttivo.
Oltre che figura “religiosa”, l’anticristo è descritto anche come grande personalità politica, che accentra a sé il potere dei regni di questo mondo che Cristo ha invece rifiutato[10]. La pochezza spirituale dell’umanità ultima e la sua incapacità di discernimento giustificano, infatti, quello che potremmo definire il “successo sociale” dell’anticristo, che nella tradizione cristiana diviene, per eccellenza, l’archetipo del tiranno capopopolo le cui scelleratezze vengono, per così dire, dissimulate dal fascino ambiguo ma terribilmente efficace della sua personalità.
Ireneo di Lione, un autore del II secolo, afferma addirittura che egli «fingerà di ergersi a vendicatore degli oppressi”[11]. La “lingua” dell’anticristo sarà violenta e blasfema, ma questo non ostacolerà il suo successo al cospetto della disorientata umanità dei Tempi Ultimi; come descrive l’Apocalisse: «Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. (…) L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita»[12].
L’analogia inversa col Cristo, infine, comprende anche, secondo la riflessione dei Padri della Chiesa, l’origine etnica dell’Ingannatore. Come il Cristo, infatti, è figlio della stirpe eletta d’Israele, così lo sarà anche l’anticristo. Ireneo di Lione e Ippolito Romano, in particolare, affermano che egli avrà origine dalla tribù ebraica di Dàn[13], che già nell’Antico Testamento si distingue sovente per la sua infedeltà all’Alleanza con Dio e per la sua propensione all’idolatria. Egli, scrive Ireneo, «trasferirà in essa (Gerusalemme) il suo trono e sederà nel tempio di Dio»[14]; e Ippolito aggiunge che lui stesso «resusciterà il tempio di pietre a Gerusalemme»[15], ossia l’antico santuario ebraico distrutto nella guerra coi Romani nel 70 d.C. È questo il culmine della parodia, in cui l’anticristo contrapporrà, al tempio spirituale edificato da Cristo, quello materiale fatto di pietre, rivendicando quindi un ruolo messianico agli occhi di Israele e del mondo.
666, il numero della Bestia
Parlando dell’anticristo, non si può non affrontare la questione del “numero della bestia”: un elemento della tradizione biblica penetrato nella stessa cultura popolare, e che lega la figura del Grande Ingannatore al numero seicentosessantasei. Alla radice di questa misteriosa identificazione, vi è un passo dell’Apocalisse in cui l’autore, parlando del dominio mondiale che verrà instaurato dall’anticristo, afferma che ogni essere umano riceverà il “marchio della bestia” sulla sua mano e sulla sua fronte – simboli del pensiero e dell’azione – e aggiunge: «Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, è infatti un numero d’uomo e il suo numero è seicentosessantasei»[16].
Quello che l’autore pone al lettore, dunque, è una vera e propria sfida all’intelligenza, chiamata a comprendere l’autentico significato del numero/nome della bestia[17]. Un primo significato del 666 potrebbe essere strettamente simbolico: il numero 6, infatti, è visto già nell’Ebraismo come “il numero dell’uomo”: Adamo è creato il VI giorno. Da questo punto di vista, la ripetizione ternaria del numero 6, può indicare che l’anticristo rappresenterà il tentativo di instaurare il dominio dell’uomo e dell’arbitrio umano, su quelli che nella tradizione sono visti come i tre livelli della creazione: corpo/anima/spirito, cielo/terra/inferi, ecc. Una volta rifiutato Dio, infatti, è l’uomo-anticristo ad ergersi a pseudo-divinità nel tentativo di sostituirsi alla signoria divina sul mondo creato.
Un’altra chiave interpretativa, non necessariamente contrapposta alla prima, fa appello invece alla “ghematrìa”[18], la dottrina sul valore numerico delle lettere dell’alfabeto, molto diffusa in ambito semitico e ampiamente utilizzata nella Kabbalà ebraica. Secondo questa prospettiva, il numero della bestia nasconderebbe un appellativo simbolico caratterizzante l’anticristo se non, addirittura, un nome di persona.
Molte sono state, fin dall’antichità, le interpretazioni nemerologiche del 666: in tempi più recenti, c’è chi ha affermato che il famoso numero non sia altro che la cifra ricavata dalle lettere ebraiche che compongono il nome Nerone Cesare. Secondo questa interpretazione, dunque, l’Apocalisse non avrebbe un vero significato escatologico, ma sarebbe solo il resoconto, in tempo reale, delle prime persecuzioni subite dalla comunità cristiana: resoconto “criptato” dietro un linguaggio simbolico, in maniera da poter essere inteso solo dai membri della comunità. Questa interpretazione, tuttavia, risulta non solo storicamente poco corretta ma decisamente forzata dal punto di vista numerologico[19].
Presso i Padri della Chiesa, al contrario, l’interpretazione più comune era quella che identificava il “nome nascosto” con il termine greco Teitan, il Titano[20]. Nella cultura classica in cui si muovevano i primi cristiani, l’immagine del Titano era quella della creatura che aveva tentato la scalata al cielo, secondo il noto mito greco[21]: un’immagine particolarmente calzante per l’anticristo, che aspirerà a “farsi dio”.
Un’interpretazione più recente ma altrettanto affascinante, è quella proposta nel XIX secolo dal vescovo di Autun, Padre Devoucoux[22], che interpretò il 666 con il termine ebraico “k-elohìm”, “Come-Dio”, richiamante la falsa promessa fatta dal “serpente” ad Adamo nel giardino dell’Eden: «Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come-Dio, conoscendo il bene e il male»[23]. Ancora una volta, dunque, l’immagine dell’anticristo sembrerebbe rimandare alla pretesa dell’uomo di “farsi Dio”, di sostituirsi a Lui nell’aspirazione titanica a porre la creatura al posto del Creatore.
La “Grande Babilonia” o il regno universale dell’anticristo
Secondo le Scritture cristiane, il culmine del potere terreno del Grande Ingannatore, sarà la realizzazione di un regno universale, effimero ma terribile, che comprenderà tutti i popoli della terra. Il regno universale dell’anticristo diviene, quindi, la parodia del regno di Cristo che si va formando con la predicazione; e come non potrà giungere la fine finché il Vangelo non sia stato annunciato a tutte le genti, così non giungerà il giorno ultimo, se prima non si sarà manifestato – pur se per breve tempo – il potere universale dell’Iniquo.
L’immagine dei Tempi Ultimi, nella visione cristiana, comprende dunque uno scenario globale: non un popolo o una regione del mondo, ma tutti i popoli saranno coinvolti in questa sfida finale tra le tenebre e la luce. In questo contesto, peraltro, si inserisce la misteriosa figura di “Colui che lo trattiene” – in greco, ‘o Katékon – di cui parla San Paolo, come di una forza o di un’entità destinata a “trattenere” l’anticristo per evitare che egli si manifesti in tutta la sua potenza prima del “tempo assegnatogli”: «E ora sapete ciò che lo trattiene (tò Katékon) perché non si manifesti che nell’ora sua. Infatti, il mistero dell’iniquità è già in atto; basta solo che chi lo trattiene (ò Katékon) sia tolto di mezzo. Allora si svelerà l’Iniquo»[24].
Molte sono state le interpretazioni di questa misteriosa entità: secondo alcuni Padri della Chiesa come Tertulliano[25], ò Katèkon, la forza destinata a “frenare” l’avvento dell’anticristo, sarebbe l’Impero Romano, che con le sue istituzioni e la sua eredità di leggi e di civiltà impedirebbe, per qualche tempo, l’avvento totale del caos. Lo stesso Tommaso d’Aquino[26], riprendendo questa riflessione, identifica nella Romanità – e nella Chiesa sua erede – quell’ostacolo” rimosso il quale, l’anticristo avrebbe potuto manifestarsi pienamente nel mondo.
Una volta rimosso l’ostacolo, il potere dell’Iniquo potrà manifestarsi universalmente: e questo “potere mondiale” è simbolicamente descritto, nell’Apocalisse, con l’immagine della Grande Babilonia, la prostituta, dominatrice del mondo, sulla cui descrizione influiscono, con evidenza, immagini di realtà coeve all’autore[27]. L’autore dell’Apocalisse descrive la base del potere dell’anticristo e del successo di Babilonia nella capacità di controllare la ricchezza e l’economia: «Si adoperava, inoltre, che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, fosse impresso sulla destra o sulla fronte un marchio, e che nessuno potesse comprare o vendere se non portava il marchio, il nome della bestia o il numero del suo nome»[28]. Un potere, dunque, fondato sul controllo universale degli scambi e della ricchezza e, per questo, apparentemente intangibile e indistruttibile.
La battaglia finale e il ritorno di Cristo
Nella riflessione cristiana il male è visto come avente due volti, che non sono altro poi che le facce di una stessa medaglia: il volto seduttivo e accattivante e quello violento e terrificante. I due volti coesistono nella medesima realtà, poiché null’altro sono se non le due modalità d’agire del male: l’una, quella seduttiva, mirante a creare apostati; l’altra, quella violenta e prevaricatrice, che finisce irrimediabilmente per creare martiri. Anche l’anticristo, come manifestazione piena delle forze del male sulla terra, incarnerà questi due aspetti: l’uno, l’aspetto seduttivo dei prodigi e dei proclami, attirerà le grandi masse; l’altro, quello brutale, sarà riservato a coloro che, nonostante tutto, non vorranno farsi sedurre.
È in quest’ottica che va letta la tradizione della Grande Guerra finale che le forze del male scateneranno contro gli ultimi credenti al crepuscolo della storia, descritta dall’Apocalisse nel suo linguaggio colorito e simbolico: «Poi dalla bocca del drago e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, vidi uscire tre spiriti immondi, simili a rane: sono infatti gli spiriti di demoni che operano prodigi e vanno a radunare i re di tutta la terra per la guerra del gran giorno di Dio Onnipotente. (…) E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armagheddon»[29].
L’accenno ad Armagheddon – in ebraico, “la montagna di Meghiddo”- una località del nord della Palestina, è stata variamente interpretata: c’è chi vi ha visto, letteralmente, un riferimento alla Terra Santa, il luogo da cui “tutto è partito” e dove tutto è destinato a concludersi, nell’ultimo scontro che vedrà protagonisti “tutti i re della terra”. Questa tradizione, d’altronde, si appoggia anche agli accenni biblici che vedrebbero proprio in Terra Santa il luogo dove l’anticristo avrà il suo “quartier generale”, dopo la ricostruzione dell’antico Tempio e la sua “intronizzazione”. Altre interpretazioni, al contrario, vedono la scelta di Armagheddon basata solo su motivazioni allegoriche: essendo stata, “la montagna di Meghiddo”, teatro secolare di scontri e di conflitti fra le potenze del Medio Oriente antico.
I protagonisti della battaglia finale saranno, dunque, da una parte i pochi uomini rimasti fedeli a Dio, dall’altra la moltitudine dei sedotti, che l’autore dell’Apocalisse identifica con l’immagine biblica delle genti di Gog e Magog: «Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarli alla guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta»[30].
Lo scontro tra le tenebre preponderanti e le residue forze della luce – sia esso da intendere letteralmente o metaforicamente – potrebbe apparire scontato a favore delle tenebre ma, proprio nel momento in cui tutto sembrerà perduto, ogni cosa, al contrario, sarà salvata. L’adunanza dei re – che rappresentano le forze vendute al male – la loro potenza che nessuno sembra poter sfidare, sarà immediatamente annientata dalla manifestazione del Cristo, che farà ritorno in terra per l’atto finale della storia.
Ancora una volta, dunque, si evidenzia la nullità metafisica del male, che può apparire potente, preponderante e persino invincibile ma che non è altro, in fondo, che il riverbero di una pura illusione. Proprio nel momento del suo apparente trionfo, infatti, il male sarà spazzato via, così come una semplice luce cancella le tenebre al suo solo apparire in un luogo oscuro. La luce, infatti, è realtà vera, mentre le tenebre non sono altro che un’assenza, una negazione. Quando la realtà vera si manifesta, la non-realtà non può che svanire: e tanto grande sarà la sua rovina quanto grande, in apparenza, é stato il suo potere.
L’Apocalisse descrive in termini grandiosi e poetici il nuovo avvento di Cristo, sotto le sembianze di un bianco cavaliere che squarcia le nubi: «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalca si chiama Fedele e Verace: egli giudica e combatte con giustizia. (…) È avvolto in un mantello di sangue (ricordo della passione subita sulla croce) e il suo nome è Verbo di Dio»[31]. La vittoria del Cristo sulle tenebre viene descritta come rapida e repentina; così, tra gli altri, la descrive San Paolo: «il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta»[32].
Il ritorno di Cristo coinciderà dunque con la fine del regno delle tenebre, che non avranno più spazio sulla terra; esso è il compimento del Giorno del Signore annunciato dai Profeti, la conclusione di un progetto divino di salvezza iniziato dopo la Caduta di Adamo e che ha il suo culmine dell’incarnazione del Verbo che si fa uomo in Gesù.
Anche l’opera cieca e distruttiva del male, vista da questa prospettiva, diventa essa stessa strumento di redenzione: la grande tribolazione dei Tempi Ultimi, infatti, non è che una prova, un universale discernimento al fine di separare “il grano dalla pula”, il giusto dal malvagio. Di fronte allo scontro finale tra la luce e le tenebre, infatti, l’uomo non può non prendere posizione; e così anche il male, a sua insaputa, partecipa al piano della Provvidenza, che lo permette in funzione di un bene superiore. Scrive infatti San Paolo: «Per questo Dio manda loro una forza di seduzione, perché credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità”[33].
Riferimenti:
[1]«Satana è la scimmia di Dio». Quest’espressione esprime il concetto per cui il male non può far altro che parodiare il bene. Anche San Paolo afferma che «Satana si maschera da angelo di luce» (2Cor. 11, 14).
[2] Sono solo tre i passi del Nuovo Testamento –tutti compresi nel corpus giovanneo- dove ricorre l’appellativo di “anticristo”: 1Gv. 2, 22; 1Gv. 4, 3; 2Gv. 7
[3] Il biblista francese Denis Buzy è il maggior sostenitore della tesi che vede nell’anticristo un’entità collettiva, quasi una sorta di “simbolo del male” (cfr. D. Buzy, Antéchrist, in Dictionnaire de la Bible Supplement, I, pp. 297-305). Tuttavia, nelle lettere di Giovanni, l’anticristo è sempre indicato al singolare con l’articolo determinativo maschile (ò anthìchristos); stessa cosa, in San Paolo quando si accenna all’uomo dell’iniquità (ò ànthropos tès anomìas), il ché, lascia pochi dubbi sulla personalità individuale attribuita al Grande Ingannatore.
[4] Mt. 24, 23-24
[5] Ap. 13, 11
[6] 2Ts. 2, 3-4
[7] Ap.
[8] 2Ts. 2, 9-10
[9] Didaché tòn Dodekòn Apostolòn, XVI, 4
[10]Nel noto episodio delle Tentazioni del deserto (Mt. 4,1-11; Mc. 1,12-13 e Lc. 4,1-13.) Gesù rifiuta il potere politico –indicato dai “regni di questo mondo” offerti a lui da Satana- come strumento da utilizzare nella sua missione.
[11] Ireneo di Lione, Adv. Haer., V, 30, 3
[12] Ap. 13, 4-8
[13] Ireneo di Lione, Adv. Haer., 5, 30; Ippolito Romano, De Anticristo, 14, 2. Già nell’Antico Testamento, la tribù di Dan è presentata in un’ottica generalmente negativa a causa dei suoi cedimenti verso l’idolatria (Gdc. 18, 30-31; 1Re, 12, 29-30; Am. 8, 14). Nell’Apocalisse di Giovanni, la tribù di Dan non è menzionata nella lista delle Dodici Tribù di Israele che simboleggiano i salvati (Ap. 7, 5-8); mancanza interpretata da alcuni esegeti (cfr. E.B. Allo, L’Apocalypse, Paris 1921, p. 94) come un indizio della credenza in un’origine “danita” dell’anticristo.
[14] Ireneo di Lione, Adv. Haer., V, 25, 4
[15] Ippolito Romano, De Anticristo, 6, 2
[16] Ap. 13, 18
[17] Nella cultura antica, sia ai nomi che ai numeri è generalmente attribuito un significato spirituale –o, su un piano decisamente inferiore, magico. Nel nome, infatti, risiede la “potenza” dell’individuo (donde l’abitudine, presso certe popolazioni primitive, di non divulgare pubblicamente il proprio vero nome). Nel nome è contenuto, in un certo senso, l’essenza e il destino dell’individuo. Nell’ambito della lingua latina, è evidente il collegamento etimologico tra i termini nomem (nome), numerum (numero) e numen (potenza divina).
[18]La Ghematria è una “scienza sacra”, diffusa soprattutto nel mondo semita, basata sulla corrispondenza simbolica tra i numeri e le lettere dell’alfabeto. Ad ogni lettera corrisponde cioè un numero e, ad ogni nome, una somma di numeri.
[19] L’ipotesi gematrica di 666 = “Cesare Nerone” è basata su di un’interpretazione forzata e poco corretta, a causa della errata trascrizione delle consonanti greche di Nerone Cesare in NRWN QSR, invece di NRN KSR. Nell’uso ebraico, infatti, dei termini Neron Kesar. si sarebbero dovute scrivere solo le consonanti. Pertanto, nella ghematria ebraica il valore numerico delle lettere prese in considerazione risulterebbe NRWN QSR: n =50+r = 200+w = 6+n = 50+q = 100+s = 60+r = 200:T 666. Tuttavia, NeRoN QeSaR dovrebbe essere calcolato sulla base dei valori numerici dell’alfabeto ebraico delle consonanti NRN KSR e non delle consonanti NR(W)N Q(X)R -le lettere tra parentesi indicano quale sia l’interpolazione arbitraria utilizzata per forzare il calcolo ed arrivare alla somma 666. In realtà, il valore numerico di “Cesare Nerone” è 900 e non 666: NRN QSR = n=50 + r=200 + n=50 + q=109 + s=300 + r=200. Oltretutto, al tempo della stesura dell’Apocalisse (intorno agli anni 95-100),la Chiesa era perseguitata dall’imperatore Domiziano (81- 96), non già da Nerone, che era morto da più di 25 anni (68 d.C.). È perlomeno improbabile, dunque, che tale imperatore potesse essere indicato come l’anticristo destinato a venire.
[20] Cfr. Ireneo di Lione, Adv. Haer., V, 30, 3; Vittorino di Petrovio, Comm. In Ap., 12, 13, 3; Ippolito Romano, De Anticristo, 50, 2.
[21] Nella mitologia greca, i Titani sono esseri che tentano la scalata verso l’Olimpo allo scopo di detronizzare gli dei.
[22] Cfr. J. Hani, Le symbolisme du temple chrétien, Ed. dela Maisnie, p. 46
[23] Gn. 3, 5
[24] 2Ts. 2, 6-7
[25] Tertulliano, De Res. Car., XXIV, 18
[26] Tommaso d’Aquino, opuscolo LXVIII, De Anticristo.
[27] È evidente, in alcuni punti dell’Apocalisse, come la descrizione della Grande Babilonia risenta del confronto con la Roma pagana e decadente dell’epoca, vera “babele” di popoli e di lingue, dominata da un potere assoluto autoproclamatosi divino. Al tempo stesso, un altro modello a cui l’autore attinge per la sua descrizione è certamente quello della Gerusalemme giudaica che ha rifiutato Cristo -«la grande città, che allegoricamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocefisso» (Ap. 11, 8). Siala Roma pagana chela Gerusalemme giudaica vanno considerate, tuttavia, come “figure” della futura città dell’anticristo –in sintonia con un modello tipico della letteratura biblica- ed è vano ricercare identificazioni letterali con queste realtà storiche.
[28] Ap. 13, 16-17
[29] Ap. 16, 13-16
[30] Ap. 20, 7-8
[31] Ap. 19, 11; 13
[32] 2Ts. 2, 7
[33] “Ts. 2, 11-12
Tratto da: “Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni”, di Gianluca Marletta e Mario Polia, SugarCo Edizioni, pp. 56-67
Fonte: http://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2012/01/anticristo/
Commenti
Chi é l’anticristo? — Nessun commento