Ciò che ha distrutto Atlantide ha distrutto anche Marte?
Ormai, viene accettata dai ricercatori la tesi secondo cui la Terra, in un passato non troppo remoto avrebbe subito un colossale sconvolgimento geologico.
Il dibattito si intensifica, divenendo spesso un vero e proprio scontro, quando si cerca di definire quando e perché ciò accadde. Secondo alcuni scienziati, questi sconvolgimenti non hanno interessato solo il nostro pianeta, ma il sistema solare nel suo complesso, poiché ogni suo pianeta mostra i segni di un cataclisma che ne ha condizionato la superficie, l’atmosfera, la velocità e l’angolo di orbita o la rotazione.
La distruzione subita da Marte e il suo rapporto con la devastazione avvenuta sulla Terra è oggetto di speculazione da parte di molti ricercatori. Marte ha cominciato a destare sempre più interesse via via che un numero sempre maggiore di sonde vi venivano inviate, offrendo immagini e dati in un dettaglio che consente ai ricercatori di fare luce sul passato misterioso del pianeta rosso.
A fare scalpore soprattutto le famose fotografie scattate in quell’area di Marte conosciuta come “Cydonia”, che sembrava mostrare formazioni rocciose di origine non naturale. Tra queste figuravano la famosa “faccia” di Marte e varie piramidi, immagini che hanno fatto ipotizzare a qualcuno l’esistenza di un’antica civiltà marziana (neanche troppo antica in verità), in qualche modo legata a quella di Atlantide ed insieme andate distrutte in un cataclisma cosmico, che ha interessato il nostro sistema solare circa 13 mila anni fa!
L’autore e studioso più noto di questa ricerca è l’americano Richard Hoagland, giornalista scientifico ed ex consigliere presso il Centro spaziale Goddard della NASA. Una delle sue equipe sostiene di aver confrontato il rapporto tra le strutture “non naturali” di Cydonia, su Marte, come la faccia e le piramidi, con la disposizione in circolo delle rocce e delle file di menhir di Silbury Hill (la più grande collinetta creata dall’uomo in Europa) presso Avebury, nel Wiltshire, in Inghilterra, e con altri antichi siti archeologici. Egli arriva quindi alla conclusione che si tratta di strutture speculari.
Inoltre, secondo quanto afferma David Icke nel suo “Figli di Matrix”, la piana di Giza in Egitto, patria della Grande Piramide, un tempo era nota come “El-Kahira”, nome che deriverebbe dalla parola araba El-Kahir che significava “Marte”! I testi antichi testimoniano, inoltre, che la misurazione del tempo era strettamente legata a Marte e che il 15 marzo, le “Idi di marzo” (Marte), era una data fondamentale per il calendario basato su Marte, come pure il 26 ottobre. La prima data segnava l’inizio della primavera, mentre la seconda corrispondeva alla fine dell’anno secondo il calendario celtico. Persino il nome “Camelot” nelle simboliche storie di Re Artù, pare significasse “Città marziana” o “Città di Marte”.
Eppure, secondo alcuni un legame diretto tra Marte e la società umana è impossibile, poiché Marte venne distrutto milioni di anni fa. Ma tutto questo è vero? Attualmente si confrontano due tesi alternative che si accordano quasi su tutto, eccetto che per un punto fondamentale sul quale differiscono profondamente. Entrambe sostengono che su Marte, un tempo, esistevano l’acqua, la vegetazione e un’atmosfera, che avrebbero potuto consentire la vita biologica come oggi noi la conosciamo. Entrambe affermano che questo ambiente potenzialmente favorevole all’uomo, fu distrutto da sconvolgimenti geologici.
L’unico serio punto su cui non si trovano d’accordo, riguarda proprio “quando” questo disastro si verificò. Fu davvero milioni di anni fa, come sostiene la “scienza” ufficiale, o fu solo qualche migliaio di anni fa, come suggeriscono certe ricerche alternative, in una collocazione temporale che sembra anche accordarsi perfettamente con la devastazione di Atlantide?
Indizi sempre più numerosi attestano che Marte è stato distrutto dalla stessa catastrofe che, sulla Terra, mise fine alla cosiddetta “Età dell’oro”, quel periodo che gli egiziani chiamavano “Zep Tepi”, un mitico “Primo Tempo” degli dèi, un’epoca remota a cui gli antichi egizi associavano le origini della propria civiltà.
Le iscrizioni sul Tempio di Edfu, contengono una serie di straordinari riferimenti al “Primo Tempo”, soprattutto ai cosiddetti “Libri della Fondazione”, nei quali si parla dei misteriosi “Seguaci di Horus”, descritti come esseri a volte dall’aspetto divino, a volte umano, identificati come coloro che detengono e preservano la conoscenza nel corso delle varie epoche, come una confraternita elitaria dedita alla trasmissione della sapienza e alla ricerca della resurrezione e della rinascita.
Sempre secondo i testi di Edfu, gli dèi provenivano originariamente da un’isola, la “Terra Nativa degli Esseri primordiali”. Nei testi, si fa chiaro riferimento riguardo al fatto che il cataclisma che distrusse quest’isola fu un’inondazione. Ci dicono che fu di breve durata e che la maggior parte dei suoi “divini abitanti” fu sommersa. Arrivando in Egitto, i pochi che sopravvissero divennero poi “gli Dèi Costruttori che edificarono nel tempo primordiale, che gettarono i semi per gli dèi e per gli uomini, i Grandi Vecchi che esistevano fin dal principio, che illuminarono questa terra quando vi giunsero insieme“.
Negli anni Cinquanta del XX secolo, l’autore e studioso di origine russa Immanuel Velikovsky, suggerì in una serie di libri che il pianeta che oggi chiamiamo Venere (a quel tempo un grosso corpo a forma di cometa) possa essere stato la causa della distruzione totale di Marte e della quasi distruzione della Terra, immaginando che il corpo celeste attraversò il sistema solare, fino a raggiungere la sua attuale orbita.
Velikovsky fu deriso e violentemente attaccato dalla comunità scientifica, e questo fa sospettare che evidentemente le sue tesi sono degne di attenzione. Tali tesi, comunque, hanno acquistato sempre più credito nel corso del tempo. Quando la missione del “Mariner 9” scattò le prime fotografie di Venere, molte delle descrizioni che Velikovsky aveva fatto tanto tempo prima si rivelarono corrette.
Egli rivelò che le popolazioni antiche rappresentavano Venere come un oggetto luminosissimo con una scia di fumo che seguiva un’orbita e una traiettoria del tutto diverse rispetto a quelle odierne, come si può leggere nei testi cinesi, maya e toltechi. Inoltre, negli antichi resoconti astronomici sumeri, Venere non figurava, ma comparirà più tardi nei testi caldei, originari della stessa regione. Essi descrissero Venere come “una torcia luminosa del cielo” che “illumina come il Sole” e “riempie tutti i cieli”.
Come ha scritto Velikovsky: “Le tradizioni che riguardano gli sconvolgimenti e le catastrofi, che si trovano presso tutti i popoli, vengono generalmente screditate sulla base del principio miope, secondo cui nessuna forza che oggi non sia presente possa, in passato, aver modellato il mondo. È su questo principio che si fondano la moderna geologia e la teoria dell’evoluzione”.
Parlando di passaggi di corpi celesti, come non ricordare le scoperte di Zecharia Sitchin e del pianeta “Nibiru”, il cosiddetto “Pianeta del passaggio”, il quale, secondo la mitologia sumera, è foriero di altrettanta distruzione. La civiltà sumera risale al 4000 circa a.C., ma altre civiltà fiorirono in quella regione, come documenta James Churchward, per decine di migliaia di anni prima dello sviluppo della civiltà sumera. Un ruolo centrale in questi racconti sumeri, veniva ricoperto dagli “dei” che i Sumeri chiamavano “Anunna” (“Figli di An”).
I successivi nomi semitici da loro adottati furono AN.UNNAK.KI (ovvero “Coloro che dal Cielo scesero in Terra”) e DIN.GIR (ovvero “i Giusti sui Razzi infuocati”). Le tavolette sumere descrivono, secondo quanto riferito dallo studioso e traduttore Zechariah Sitchin, una collisione tra le lune di un pianeta da loro chiamato Nibiru e un altro orbitante tra l’attuale Giove e Marte. I detriti formatisi da questa spettacolare collisione crearono ciò che i Sumeri chiamavano il “Braccialetto a Banda Larga”, cioè l’attuale cintura di asteroidi. I resoconti sumeri differiscono nei particolari, ma ancora una volta i temi di fondo restano gli stessi.
Anche uno studio condotto da un gruppo di fisici della Nasa intorno agli anni sessanta, quindi in tempi non sospetti, suggerisce che una parte di Giove si staccò in seguito all’impatto con un altro pianeta. I fisici arrivarono alla conclusione che quest’altro pianeta fosse il corpo che noi oggi chiamiamo Venere. Esso venne sbalzato verso Marte, distruggendo così l’atmosfera e la vita su quel pianeta (la missione su Marte del “Pathfinder” accertò che l’erosione delle rocce di quel pianeta non era tale da far pensare che si trovassero lì da più di 10.000 anni).
Dopo aver devastato Marte, la “cometa Venere” fu attratta, sempre secondo la tesi di quegli scienziati, dal campo gravitazionale della Terra. Essa tracciò, dunque, diverse orbite intorno al nostro pianeta, causando l’onda di marea e la devastazione che mise fine all’Età dell’oro e che gettò vaste quantità di ghiaccio ionizzato in direzione dei poli. Con uno slancio finale, essa venne poi lanciata nella sua attuale orbita, trasformandosi nel pianeta “Venere”.
I più antichi documenti mesopotamici e centro-americani, non includono Venere nelle loro descrizioni planetarie, a differenza di quelli successivi, che ne fanno menzione in relazione alla pratica dei sacrifici umani dedicati a quel pianeta. Le antiche leggende e i miti sulla fine dell’Età dell’oro sembrano trovare conferma nella spiegazione scientifica degli effetti geologici e ambientali di questa “scappatella” di Venere. Le conclusioni a cui arrivano persone come Velikovsky, i fisici della Boeing e un numero sempre più nutrito di altri ricercatori, collocano la fine della vita su Marte nel stesso periodo che vide la fine di Atlantide.
Le tavolette sumere descrivono come gli “dei” Anunnaki abbandonarono il pianeta per sfuggire alla devastazione, indicando anche che furono proprio loro a causarla. Gli unici a sopravvivere alla catastrofe furono gli extraterrestri dotati di conoscenze tecnologiche e lungimiranza, che riuscirono a scappare, forse anche perché avvertiti, prima che la situazione precipitasse, e coloro che trovarono rifugio nelle viscere della Terra o sulle catene montuose, scampando così alle inondazioni che, secondo lo studio della Boeing, raggiunsero probabilmente i 3000 metri di altezza.
La Terra pullula, infatti, di gallerie e caverne, naturali e artificiali, risalenti all’antichità. Molte di esse sono state localizzate, compresa una città sotterranea in grado di ospitare una popolazione di qualche migliaia di persone e situata nella regione turca della Cappadocia, centro fenicio e patria di San Giorgio d’Inghilterra.
Finora in Cappadocia sono state rinvenute trentasei città sotterranee ed alcune di queste sono enormi complessi articolati su otto livelli. I sistemi di ventilazione sono così efficienti che persino se si scende sotto di otto livelli si continua a respirare aria fresca. Trenta tra vaste città sotterranee e complessi di gallerie sono stati rinvenuti anche vicino a Derinkuyu, in Turchia.
Le tavolette sumere narrano anche di come gli “dei” Annunaki siano ritornati per ricostruire e restaurare i loro centri devastati e la civiltà che fiorì da queste macerie ci è nota come “sumera”. Secondo David Icke, tuttavia, molte parti delle tavolette sumere possono riferirsi in realtà ai fatti di Atlantide.
Alcuni ricercatori suggeriscono che i resti delle città pre-diluviali degli Anunnaki siano da ricercare negli abissi del Golfo Persico, che divenne molto più ampio e profondo dopo quegli sconvolgimenti. A seconda del luogo e degli effetti della devastazione, alcune delle grandi strutture dell’Età dell’oro sopravvissero e si possono vedere ancora oggi.
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