Due o tre cose della Bibbia che non sappiamo
di Massimo Mazzucco
Noi genericamente definiamo “Bibbia” quel librone di oltre mille pagine che troviamo un po’ dappertutto, in chiesa come a casa nostra, come nei motel dei film americani.
Ma quel libro in realtà contiene sia il “Vecchio” che il “Nuovo” Testamento, ovvero la Bibbia originale degli ebrei – detta Tanach, che risale al 600-1200 A.C – più i Vangeli cristiani “canonici”, scritti invece dopo Cristo.
Il “cristianesimo” quindi è, in un certo senso, una “libera interpretazione” della Bibbia originale ebraica, rivista, tramite l’aggiunta dei Vangeli, alla luce della predicazione di Gesù. La differenza fondamentale fra le due religioni, sta proprio nel fatto che l’ebraismo non riconosce nella fìgura di Gesù il “Messia” annunciato dalle profezie bibliche, mentre il cristianesimo sì.
In questa sede, comunque, per “Bibbia” intendiamo esclusivamente il testo sacro, o Tanach, composto dei 39 singoli libri originali (Isaia, Ezechiele, Genesi, Esodo…ecc.) del canone ebraico. (Lista che, per la precisione, differisce per alcuni libri da quella adottata dal nostro “Vecchio Testamento”).
Breve storia della Bibbia
Origine e contenuto
Va detto innanzitutto che la Bibbia non è affatto un testo unitario, ma piuttosto un intricato compendio di tradizione orale, di fonti storiche, di miti e leggende popolari, sia locali che importate, di scritti dei vari profeti, di leggi e regole per l’igiene e la nutrizione, di poesie, canti e proverbi di ogni tipo. In altre parole, una summa cumulativa di tutto il sapere contemporaneo di quella regione, che cominciò a prendere forma definitiva, e ad essere considerata “Legge di Dio”, soltanto intorno all’ottavo secolo avanti Cristo. Più avanti, parleremo dell’effettiva stesura dei testi, che iniziò in quel periodo, per mano di scribi che non erano in nessun modo gli autori del testo originale.
Il Testo originale
I testi biblici erano scritti – in ebraico antico ovviamente, eccetto per brevi segmenti in aramaico – su lunghi rotoli di pelle, o di pergamena. Ben lungi dall’essere leggibili a prima vista, questi rotoli apparivano al lettore come una sequenza interminabile di lettere, dalla prima all’ultima riga. (In realtà, come si vede dalla foto accanto, ogni tanto ci sono delle spaziature multiple, che indicano però delle pause “emotive”, e non hanno nulla a che vedere con la composizione delle singola parole).
P r a t i c a m e n t e l a b i b b i a a p p a r i v a s c r i t t a c o s ì: non sono indicate le parole vere e proprie, ma devi trovartele tu, separando i gruppi di lettere al punto giusto. E siccome in realtà gli ebrei non scrivevano nemmeno le vocali, l’equivalente per noi sarebbe stato questo: P r t c m n t l b b b p p r v s c r t t c s. Moltiplicate questo rebus per circa 2 milioni e mezzo di lettere consecutive, ed avrete davanti la Bibbia originale.
Interpretabilità
Il problema dell'”interpretabilità” della Bibbia è quindi a strati multipli, poiché bisogna prima di tutto mettersi d’accordo su quello che c’è effettivamente scritto sopra. Soltanto dopo si potrà affrontare un’eventuale lettura allegorica, o simbolica, del testo, e casomai, in ultimo, quella ancor più complessa ed arcana detta esoterica, o “cabalistica”.
In un testo cosi lungo si verificano, per pura legge statistica, migliaia di casi in cui certe lettere possono essere attribuite sia alla parola precedente che a quella seguente, dando comunque un senso compiuto. L’udito, oppure lu dito? (…per un sardo, il problema potrebbe anche porsi).
Vi sono poi altrettanti casi in cui la variazione delle semplici vocali, può dare adito a letture completamente diverse. Per esempio, una cosa è dire “ti amo tanto”, ben altra è dire “tu mi tenti”, anche se le consonanti – t m t n t – rimangono le stesse; per non parlare poi, di “temo i tonti”, o di “Tom è tinto”.
Naturalmente, nel corso del tempo, le varie generazioni di rabbini sono giunte ad un consenso di massima sul significato di ogni frase, che è rispecchiato dalla moderna versione ebraica della Bibbia. Già che c’erano hanno pensato bene di aggiungere anche le vocali, e di staccare le parole. Anche l’occhio vuole la sua parte.
Autenticità
Come facciamo noi a sapere che questa versione “ufficiale” corrisponde davvero all’antico testo originale? In fondo, abbiamo visto come i Vangeli canonici siano stati martoriati nel corso dei primi secoli, da correzioni, tagli e interpolazioni di ogni genere, volute dai padri della chiesa, allo scopo di adattare il credo, originariamente nato in Palestina, al mondo e alla mentalità dei gentili.
Per quel che riguarda la Bibbia, diciamo innanzitutto che per “originale” si intende, in realtà, la versione redatta nel 539 a.C. dal profeta Ezra, sulla via del ritorno da Babilonia, trascritta completamente a memoria. I “veri” testi antichi, infatti, erano stati tutti distrutti nel rogo del Primo Tempio, dai soldati di Nabuccodonosor. Fortunatamente sono stati ritrovati, nell’ultimo dopoguerra, i cosiddetti “Rotoli del Mar Morto”, dei libri sacri che la comunità sacerdotale degli Esseni aveva nascosto nelle inaccessibili grotte di Qumran (v. foto sopra), e che così sono sfuggiti anche alla distruzione del Secondo Tempio, ad opera dei Romani, nel 70 d.C.
Fra questi rotoli si è ritrovato un libro quasi completo di Isaia (v. foto a fianco), che antedatava l’esodo di Babilonia, e che risultò essere identico, lettera per lettera, alla versione tramandataci a memoria da Ezra. Questa fu messa definitivamente per iscritto nel secondo secolo a.C., nella versione cosiddetta “masoretica”, della quale però nessun originale riuscì a superare intatto le intemperie della storia. Il più antico testo completo della Bibbia ebraica disponibile oggi è il “Codex Leningradensis”, che è una copia del masoretico che fu redatta “soltanto” nel 1008 dopo Cristo.
Nonostante questo, grazie ad una serie di complicatissimi riscontri incrociati fra tutti i reperti biblici ritrovati finora – dal completo Isaia di Qumran, al più microscopico frammento di testo sacro – è stato possibile affermare con relativa certezza, che la Bibbia ebraica contemporanea, cioè la versione “masoretica”, corrisponde fedelmente al testo originale del tempo dei profeti. Ma vediamo adesso che cosa dice questo testo originale, nella sua traduzione letterale.
Il confronto con l’originale
Il Pentateuco
La tradizione vuole che i primi 5 libri della Bibbia, che noi chiamiamo Pentateuco, e gli ebrei Torah, siano stati scritti direttamente da Mosè, intorno al 1200 a.C. Fra questi, sicuramente il più importante è il primo, che noi chiamiamo Genesi, e gli ebrei chiamano Behreshit (“l’inizio”). In esso, si descrivono sia la cosmogenesi che l’antropogenesi, cioè la nascita del mondo materiale, e quella dell’Uomo e delle altre forme viventi.
La Genesi
Se ora noi confrontassimo il testo originale della Behreshit con quello della nostra Genesi, rimarremmo probabilmente di stucco. Che dire, ad esempio, di fronte alla scoperta che il mondo non sarebbe stato creato affatto da “Dio” (singolare maschile), ma da una allegra combriccola di “Dei”? Il termine Elohim infatti, che nella nostra Genesi è tradotto con “Dio”, in ebraico è solo plurale, ed è sia maschile che femminile. (Qualcuno ricorda la frase “infelice” di Papa Luciani, che prima di morire volle farci sapere a tutti i costi che “Dio è uomo, ma anche donna”?).
Oppure, cosa dire di fronte al fatto che non fu l’uomo ad essere fatto “a sua immagine e somiglianza”, ma è l’umanità che fu fatta “ricalcando i loro contorni”? Cioè, proiettando dei loro “parametri” astratti, ideali, nel mondo concreto della materia. Una cosa è lo “stampino” della ceralacca – che fra l’altro ci ha condannato a visualizzare l’uomo barbuto che ci perseguita da millenni col bastone alzato – ben altra è pensare ad una “cristallizzazione” nel mondo denso della materia di un progetto ideale, tanto puro quanto assoluto. Nello stesso modo, in un certo senso, in cui un regista “sogna” il proprio film, e poi gli dà una forma concreta usando attori, pellicola e cineprese. (Curioso come gli Aborigeni d’Australia, il più antico popolo vivente sulla terra, chiamino la nostra dimensione terrena “dreamworld”, il mondo dei sogni).
Elohim o Javeh?
A chi si ritrovasse ora confuso sul “nome di Dio” originale, ricordiamo che è la Bibbia stessa a mescolare le carte, poiché a volte presenta il Creatore come Elohim, altre volte lo chiama Javeh, o Jehovah (Giavè, Geova), e più raramente Adonài (Signore, Padrone). Elohim però, come detto, è soltanto plurale, maschile e femminile insieme (significa letteralmente “coloro che sono in alto”, “i signori di sopra”), mentre sia Javeh che Adonài sono al singolare maschile (in realtà Javeh è neutro, ma non pone comunque una questione di pluralità).
Ma perché allora, viene da domandarsi, “Dio” nella nostra Bibbia è stato tradotto al singolare? Qui non sta certo a noi rispondere, e possiamo al massimo avanzare un’ipotesi: già ai tempi dell’ebraismo, una delle chiavi unificatrici, a livello popolare, fu proprio l’introduzione del monoteismo (quante volte insiste a ricordarcelo, lo Javeh della Bibbia, che “non avrai altro Dio all’infuori di me”?). Un’ altra cosa che contribuì a rinforzare l’impatto della nuova religione, fu l’abolizione dell’idolatria. Fu quindi chiaro alla classe sacerdotale, già da allora, che meno “dispersione” simbolica c’è, nella mente del credente, più facile è per lui recepire il messaggio complessivo di quella religione.
Non stupisce quindi, che i rabbini non amino troppo sentirsi chiedere “che cosa significa esattamente Elohim?”, poiché dovrebbero introdurre una dimensione spirituale molto più complessa e delicata di quella del semplice “Dio” Javeh. Figuriamoci, quindi, gli stessi padri della chiesa cristiana, che già avevano mille problemi a mettersi d’accordo sui Vangeli canonici, che voglia avevano di rispettare anche questa distinzione, quando, traducendo (in greco) tutto con “Dio”, almeno quel problema non si poneva nemmeno. Accadde così che a loro volta gli anglosassoni, che tradussero dal greco – in inglese, con Erasmo da Rotterdam, ed in tedesco, con Martin Lutero – la loro versione della Bibbia, si ritrovarono come noi con un semplice “God” al singolare.
Ma perché esiste, da dove origina, e cosa significa questa doppia presenza di Elohim e Javeh nella Bibbia originale? Questa è una domanda che assilla gli studiosi sin dai tempi dell’università di Tubinga, che agli inizi dell’800 dedicò un intero ramo dei suoi studi all’esegesi biblica. Noi qui possiamo soltanto cercare di riassumere la tesi oggi generalmente più accettata, in cui tutto il materiale biblico sarebbe stato unificato, e messo per iscritto, da almeno quattro mani diverse, che sono riconoscibili dai diversi stili riscontrabili nell’arco della lettura. Questi stili però non si presentano in blocchi distinti e separati, ma si alternano ed accavallano in continuazione, a volte anche per pochi paragrafi, creando spesso una notevole confusione.
Le “contraddizioni” nel testo biblico
Si potrebbero peraltro spiegare, in questo modo, certe contraddizioni plateali nel testo biblico, che dovrebbero saltare all’occhio anche del lettore meno attento. Nella Genesi, ad esempio, la stessa creazione viene raccontata non una ma due volte, a distanza di pochissime pagine, e in ordine capovolto una rispetto all’altra.
Nella prima versione, viene creato prima l’Uomo, e poi tutti gli altri animali. Nella seconda, che appare a prima vista una semplice ripetizione, pochi paragrafi più sotto, vengono invece creati prima gli animali, e poi l’Uomo. Parimenti, all’inizio Uomo e Donna vengono creati insieme, poco più avanti l’Uomo precede la Donna, che viene creata dopo di lui.
In realtà, la lista di contraddizioni – che di certo sono tali, se si legge il testo in maniera letterale – è abbastanza lunga da impegnare in discussioni che non terminerebbero mai. A queste, andrebbero poi aggiunte le varie “imprecisioni scientifiche”, come l’età della Terra fissata in circa seimila anni, oppure il fatto che la Terra sia “immobile al centro dell’universo, ben piantata sul suo piedistallo”, che fu argomento del contendere sin dal tempo di Galileo. Tutto cambia, ovviamente, se si affronta la Bibbia come un testo a diversi livelli di lettura, ma questo ci porterebbe su un territorio che non siamo assolutamente preparati ad affrontare, e che esula comunque dal nostro intento.
Diciamo soltanto una cosa sull’apparente incompatibiltà fra Elohim e monoteismo. E’ evidente che la “versione originale”, con gli Elohim, ci propone non una molteplicità dispersiva di divinità, tutte in competizione una con l’altra, ma piuttosto una precisa gerarchia, armonica e ordinata, in cui Javeh starebbe molto più in alto di loro stessi.
Nelle religioni orientali si trova una corrispondenza molto precisa, ad esempio, nei Cohan del buddhismo tibetano, che sono detti anche “i creatori della materia”. Essi stessi sottostanno, gerarchicamente parlando, all’Uno Assoluto, esattamente come le mille divinità del Pantheon indù rispondono obbedienti all’Ordine Assoluto del Brahma, o Uno Cosmico Universale. Nel Corano invece sono gli Arcangeli, ereditati dalla Bibbia ebraica, ad occuparsi del mondo materiale, sotto lo sguardo attento di Allah, e la stessa Bibbia nostrana ci parla ripetutamente di Angeli e Arcangeli, confermando quindi l’esistenza di una gerarchia superiore, funzionale ed omogenea, ma tutt’altro che dispersiva in senso politeistico.
Tanto rumore per nulla
Un’altra realizzazione, che potrebbe congelare in un solo istante le più accanite discussioni fra “evoluzionisti” e “creazionisti” (fra atei e credenti, alla fine dei conti) è che in realtà essi si accapigliano per nulla, poiché la Bibbia è, in realtà, un testo provvisorio, che andrebbe comunque sostituito da un altro, che ancora non conosciamo. Purtroppo noi non la leggiamo quasi mai con attenzione critica, attivamente, ma ce la beviamo passivamente, “così com’è”, e accade spesso di non cogliere dettagli importanti come questo.
Chi non ha mai letto, almeno una volta, la discesa di Mosè dal Monte, dopo che ha ricevuto da Javeh le “Tavole della Legge”? Ebbene, quando Mosè si accorge che il suo popolo non ha saputo aspettare e si è messo ad adorare il vitello d’oro, dalla rabbia spezza le tavole di una legge che non si meritano, e le scaglia sotto il monte. In seguito, darà loro delle leggi molto più infantili, semplici e grossolane, in attesa che il suo popolo maturi e sia pronto a ricevere quelle vere.
Il problema è che Mosè poi è morto, Javeh è bel po’ che non si fa più sentire, e a noi sono rimaste sul gobbo delle leggi crude, violente ed obsolete, scritte 3000 anni fa per un branco di nomadi ignoranti e adulatori. Volendo obbedire letteralmente alla Bibbia, ad esempio, se per caso nostro fratello morisse dopo il matrimonio, e noi invece non fossimo sposati, ci toccherebbe sposare per forza la cognata rimasta vedova, e fare subito un figlio con lei – anche se ha i baffi lunghi un metro. E se non lo facessimo, lei avrà il diritto di sputarci in faccia, davanti a tutta la famiglia riunita. (Chissà perché certi cristiani si ricordano di citare la Bibbia solo quando gli serve contro gli omosessuali, o per giustificare schiavitù e pena di morte, ma poi si dimenticano completamente di osservare altri obblighi come questo?)
Perché non smettiamo, allora, per un attimo di seguire pedantemente la Bibbia come “parola di Dio”, e proviamo invece a considerarla, alla pari di molti altri suoi equivalenti sulla Terra, come un prezioso documento storico, il cui valore spirituale (se c’è… c’è?) – indipendentemente da chi sia stato a scriverla – va ricercato in profondità, in maniera attiva, cosciente e selettiva, e non soltanto “letto” in superficie, in maniera meccanica e passiva?
(Fatti non foste… )
Articolo di Massimo Mazzucco
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