Le Chiavi del Potere
Luigi Tedeschi intervista Marco Della Luna
“Le Chiavi del Potere” svela i meccanismi psicologici, economici e giuridici con cui parte della classe politica italiana riesce a perpetuare il proprio potere. È un libro “iniziatico” e le spiegazioni che fornisce, sono necessariamente per pochi. Chi viene a conoscenza di quanto qui scritto, non saprà più credere né obbedire.
1) “Le Chiavi del Potere” (libro di Marco Della Luna) già 17 anni fa delineava con precisione – trattando della realtà del potere giudiziario in Italia – quel desolante quadro che oggi emerge dallo scandalo che ha coinvolto la magistratura italiana, e che ha radici istituzionali profonde. L’equilibrio dei poteri istituzionali sancito dalla costituzione è stato da decenni gravemente alterato. Già allora dicevi che l’indipendenza della magistratura si è tramutata in autoreferenza del potere giudiziario. Essa è divenuta un organo autonomo dotato di un autogoverno non soggetto a limiti o controlli esterni. Mani pulite ha determinato per via giudiziaria la fine della prima repubblica. Il potere giudiziario si sostituisce a quello legislativo nell’applicazione e nell’interpretazione della legge. Secondo te, la magistratura – più esattamente il potere giudiziario, non si configura ormai come potere indipendente dallo stato (analogamente al potere mediatico) e che esercita di fatto la governance dell’Italia, sostituendosi ad esso e delegittimando la stessa sovranità interna dello stato?
Ciò che emerge ora da indagini, intercettazioni e scandali, e che “Le Chiavi del Potere” descriveva già nel 2002 perché tra gli addetti ai lavori erano cose note, in essenza, è che il potere giudiziario è un potere dello Stato gestito non da angeli inviati dal Cielo ma da gruppi di interesse organizzati, nascosti e protetti da un’aura di sacralità e di indiscutibilità, che il sistema ha costruito ad arte, costruita attraverso apposita propaganda mediatica, per cercare di darsi una veste di legittimità e moralità. Dalle indagini emergono interessi privati, organizzazioni e manipolazioni segrete, lotte feroci tra fazioni interne, spirito corporativo verso l’esterno.
Una mentalità totalmente incurante della legalità. Fini generalmente illeciti, come (oltre alle personali carriere) il controllo degli uffici giudiziari, quindi l’orientamento delle attività e decisioni giudiziarie, per condizionare la politica, insabbiando da una parte e colpendo dall’altra parte, a torto o ragione, secondo progetti in parte dichiarati, e in parte no. Mi pare che Cossiga dicesse che per governare in Italia bisogna controllare la magistratura. Io aggiungo che non si governa nemmeno senza un accordo con la grande criminalità organizzata, dato il suo potere di orientare il voto; né senza un accordo con la grande finanza, data la dipendenza da essa dello Stato.
2) I minibot, o come preferisci chiamarli tu, gli SCOTT, sono stati irrisi e osteggiati quale forma di emissione monetaria alternativa all’euro. Essi non costituiscono moneta in quanto mezzi di pagamento mediante i quali lo stato può estinguere un proprio debito verso un’impresa compensandolo con credito di natura tributaria. La BCE si è opposta fermamente ai minibot in quanto potrebbero costituire un mezzo per porre fine al monopolio di emissione monetaria ad essa riservato. L’emissione monetaria viene effettuata creando indebitamento progressivo per gli stati. L’idea dei minibot può essere interpretata come un tentativo di riconquista della sovranità statuale perduta? In realtà, l’idea dei minibot non nasce dalla necessità di immettere liquidità in una economia afflitta dalla scarsità monetaria e condannata alla deflazione permanente dai poteri finanziari della UE?
I minibot minacciano il monopolio privato della moneta e del credito. Rischiano di far capire che si può fare a meno di sopportare i costi e il potere politico di tale monopolio. In una società, per vivere, tutti i soggetti giuridici – persone fisiche e giuridiche, uomini e aziende – hanno necessità di fare scambi, di scambiare beni e servizi tra di loro. Nelle società primitive usano il baratto, lo scambio diretto. Nelle società moderne hanno necessità di simboli di valore: la moneta. Quindi devono procurarsi la moneta.
La classe bancaria si è costituita come monopolista della produzione della moneta (e ora, coi pagamenti elettronici, anche della sua tenuta e circolazione). Come monopolista di un bene necessario (a domanda rigida), può imporne il “prezzo”, cioè il tasso di interesse alla società, e di fatto ha così indebitato nel tempo la gente, le imprese e gli Stati per un multiplo del prodotto lordo mondiale. Infatti, impone non solo il “prezzo” della moneta, ma il tipo di moneta, ossia una moneta prestata, appunto una moneta-debito sottoposta a interesse composto, in un meccanismo che matematicamente impedisce l’estinguibilità del debito. Aggiungiamo che la moneta è un mero simbolo non convertibile in oro, quindi a costo di produzione nullo. Il risultato è che la classe globale dei banchieri si impadronisce del reddito e, attraverso l’indebitamento, anche del risparmio e dei beni, a costo zero e senza dare alcun contributo in valore reale alla società.
I minibot, e ancor più esplicitamente gli Scott (Simboli di Compensazione Tributaria Trasferibili), costituiscono una minaccia a questa posizione di monopolio parassitario, perché con essi lo Stato e le imprese riescono a chiudere alcune loro partite di debito-credito senza passare per la moneta bancaria, cioè senza usare la “merce” del monopolista, senza pagargli dazio e peggio ancora, facendo tangibilmente percepire agli imprenditori che è possibile regolare i loro rapporti di dare-avere senza prendere a prestito moneta, senza indebitarsi, attraverso un accordo di compensazione. E, ancor più, che lo Stato potrebbe (e razionalmente, nell’interesse collettivo, dovrebbe) sostituirsi alle banche private nella funzione economica di fornire ai soggetti individuali, alle aziende, agli enti pubblici, la moneta, ossia quei simboli necessari per scambiare i beni e i servizi, cioè gli elementi di ricchezza reale – simboli che non sono essi stessi ricchezza reale e non hanno costo di produzione.
Ovviamente, se, in una società, tutti disponiamo delle cose da scambiare con le cose che ci servono in possesso di altri, vuol dire che tutti i valori reali sono già esistenti; e per realizzare gli scambi abbiamo bisogno non di altri valori reali da acquisire pagando interessi, ma solo di un sistema di pagamenti multilaterale e di simboli monetari privi di costo di produzione; cioè non abbiamo motivo di pagarli col nostro lavoro come se avessero un valore proprio pari al numero che recano stampato. Farceli pagare è un sopruso, è un’estorsione. Farceli scarseggiare, deprimendo il potenziale produttivo e occupazionale, è un crimine. Servirsi della forza dello Stato per farceli pagare e scarseggiare, implica che lo Stato è ormai facciata e braccio armato del banchiere contro i cittadini.
Naturalmente, la prospettiva che tutto ciò venga capito allarma i monopolisti della moneta, perché insidia il loro reddito da monopolio e anche la loro capacità di regolare l’andamento economico dosandogli la moneta, nonché e soprattutto di condizionare gli Stati.
3) La fine della modernità e l’avvento della post modernità si possono definire come fasi progressive di sviluppo del capitalismo assoluto. L’uomo merce, l’ingegneria sociale, l’avanzata della tecnologia genetica potranno condurre a trasformazioni della stessa antropologia umana. La post modernità si può identificare con la tua definizione di “governance zootecnica”; dell’umanità. La globalizzazione neoliberista comporta infatti la fine degli stati, delle religioni, delle culture identitarie dei popoli. La dissoluzione della dimensione comunitaria dell’uomo è evidenziata dalla fine del “noi” inteso come insieme dei valori identitari costitutivi di una comunità specifica. Viene meno il fondamento stesso della politica delineato da Carl Schmitt nella dialettica “amico – nemico”. Saremo tutti amici, tutti nemici o cos’altro?
Prevarrà sempre la percezione di “nemico” (sia pur con gli adattamenti a un ambiente culturale in cui la percezione della sfera pubblica scema e tende a convertirsi in tribalismo o settarismo), perché l’acquiescenza sociopolitica si ottiene innanzitutto grazie alla paura (paura per la sicurezza fisica, per la libertà, per il tenor di vita, per la salute), che ci fa accettare il comando e il sopruso di chi riesce a rassicurarci (più o meno illusoriamente).
Tu ti chiedi “come saremo”, ossia “come verremo trasformati”; ma chiediti anche quanti saremo, come verrà adattato il numero degli uomini alle nuove esigenze della classe dominante e alle nuove emergenze planetarie, soprattutto ecologiche. E con che mezzi.
4) Il neoliberismo monopolista a base finanziaria rappresenta la fase terminale del fenomeno capitalista. Non ti sembra che la definizione “capitalismo assoluto” sia un non senso? Quanti assoluti si sono avvicendati nella storia, per poi essere sostituiti da altri assoluti che a loro volta sono stati condannati dalla storia alla decadenza e all’oblio? Oggi nel definire il capitalismo come assoluto, si vuole affermare la naturalità, l’intrascendibilità, l’ineluttabilità del fenomeno capitalista, che si identificherebbe perfino con la “fine della storia”. Con gli imperi, le religioni, le ideologie, si sono affermati tanti universalismi legati al proprio tempo storico. L’uomo ha sempre teso ad eternare se stesso sulla base di principi trascendenti, leggi della storia, teorie scientifiche non confutabili. Non credi dunque che occorra storicizzare anche il capitalismo come un fenomeno sorto da circostanze storiche determinate ma ormai esauritesi e quindi è pervenuto ad una fase di ineluttabile decadenza?
È proprio così: il capitalismo finanziario “assoluto”, come metodo di controllo e sfruttamento, caratterizzato dal dominio esercitato mediante la finanza, l’indebitamento e il finanziamento, non è affatto la fine della storia, e infatti, come dicevamo, sta già evolvendosi in un sistema di dominio e sfruttamento mediante mezzi tecnologici: una società gestita “horkheimeriana” od “orwelliana”.
L’intrascendibilità politica del capitalismo finanziario dipende o dipendeva dal fatto che esso è il sistema economico capace di distribuire la massima quantità di incentivi (e di deterrenti), ossia di denaro: nessun altro sistema gli si avvicina come capacità di comperare consenso; perciò esso batte ogni altro sistema socioeconomico. Però la tecnologia odierna cambia i presupposti, supera il bisogno di comperare il consenso, il bisogno di consenso tout court, e anzi toglie il bisogno di tenere in esistenza gli stessi popoli. Quindi è ora di rivolgere l’attenzione a un fronte diverso da quello del capitalismo.
D’altronde, tutta la storia è un incessante trasformarsi dei sistemi, degli ordinamenti, degli equilibri, in modi spesso non percepiti dai contemporanei. E, paradossalmente, la storia vede una continua serie di progetti tesi a realizzare ordinamenti definitivi e ottimali. E ciò vale anche per le singole vite umane: agogniamo approdi ed equilibri definitivi, che però sono sempre transitori…
5) Il neoliberismo ha la sua origine nell’illuminismo e nella religione – ideologia del progresso ascensionale illimitato. Pur definendosi post-ideologico, esso si impone con la sua cultura, le sue oligarchie e, al pari delle religioni misconosciute, la sua intolleranza, oltre a disporre di formidabili apparati repressivi. Ma, al contrario delle religioni e delle ideologie, non prevede l’avvento di paradisi oltre la storia, il tempo e lo spazio, né in cielo né in terra, non prefigura nemmeno, come il credo ideologico, il “migliore dei mondi possibili”. Il neoliberismo non si identifica nella fattualità intrascendibile di un mondo globalizzato statico ed inerte? Il neoliberismo dunque, non si configura come una innaturale stagnazione della storia?
Il neoliberismo propone una sola infinità come ideale: quella della ricchezza numerico-contabile: il culto dei conti, la liturgia della ragioneria, la perfetta razionalità che riduce tutto a valori di scambio, pretermettendo gli oggetti dello scambio, i soggetti dello scambio, i fini dello scambio. Ma questa infinità, per quanto stimolante sul piano della prassi, è inappagante per i bisogni più profondi dell’uomo, sia perché è un’infinità irrealizzabile, sia perché i numeri sono indicatori di quantità privi di qualità e di personalità, al contrario delle religioni e delle ideologie olistiche, che sono onni-abbraccianti. Il neoliberismo è pertanto carente e inadeguato, e forse, nonostante il suo poderoso apparato di controllo e repressione, finirebbe travolto dall’insorgere dei bisogni metafisici che esso non appaga e disconosce; sennonché esso si sta evolvendo in una forma “zootecnica”, come dianzi detto, che risolverà il problema dello scontento metafisico, manipolando opportunamente l’essere umano, cioè il portatore (per ora) di quei bisogni, che potranno essere gestiti chimicamente, se inizieranno a disturbare i “manovratori”.
6) Il capitalismo oligarchico monopolista sta attraversando una fase della sua storia in cui si manifesta una evidente eterogenesi dei fini. Il monopolio economico è la negazione della libera economia; la cultura del politically correct, così come la sua invasività mediatica e la sua intolleranza ideologica, limita sempre più i diritti individuali; il primato dell’economia dissolve la democrazia. Anziché un mondo libero, dispensatore di diritti ed eguaglianza, sta affermandosi una “oligarchia estrattiva” e un super stato globale totalitario che ha il suo epicentro negli USA. Ci si chiede dunque quanto il capitalismo potrà sopravvivere alle sue contraddizioni, che produrranno inevitabilmente un dissenso sempre più diffuso.
Gli basta tener duro ancora pochi anni, finché non sarà stato soppiantato dalla “gestione zootecnica delle popolazioni”, che supererà tutte le sue carenze e contraddizioni. Quelle che tu nomini come contraddizioni, non sono tali, bensì, al contrario, momenti di intrinseca coerenza funzionale del sistema, che contraddicono soltanto le promesse esterne del sistema stesso.
7) Il recupero di una coscienza critica da parte degli individui è la sola forma di resistenza che si possa opporre al totalitarismo neoliberista. Secondo quanto esposto nel tuo libro, è impossibile una formazione della coscienza critica fin tanto che l’uomo nei suoi comportamenti sia condizionato dal meccanismo degli automatismi psico-sociali – sia che questi ultimi abbiano una radice culturale-tradizionale, sia che derivino dalla pervasività del mondo mediatico.
Anche restando complessivamente ‘automatistiche’, non poche persone sviluppano una qualche coscienza critica, più o meno ampia, profonda, stabile, capace di tradursi in comportamenti difensivi utili. E più o meno condivisa con altri – altri che restano pochi, in ogni caso. Qualcuno realizza il problema degli automatismi e si mette all’opera per risolverlo, più o meno consapevolmente, metodicamente, efficacemente. E questo è un cammino fortemente differenziante e individuale. Comunque sia, questi ‘risvegli’ sono circoscritti e non hanno traduzione politica, ancor meno movimentistica o rivoluzionaria. Quanto più il metodo è efficace, tanto più è individuale.
8) Secondo me, l’impotenza degli individui e dei popoli a reagire è stata generata dalla rimozione della coscienza storica dell’uomo, che ha profondamente inciso sull’oblio delle culture identitarie.
No, non hanno mai avuto coscienza storica; i popoli sono sempre stati e sempre saranno impotenti a capire, agire, coordinarsi. Se i singoli sono quasi tutti quasi interamente soggetti agli automatismi, le masse e i gruppi lo sono al quadrato, perché molto più inerti, incoesi, inerti e irrazionali. Ampie parti del libro sono dedicate a questo tema.
9) L’individualismo assoluto del presente ha distrutto la dimensione storico-sociale dell’uomo e inibito la facoltà dell’uomo di prefigurare possibili trasformazioni di questa realtà storica rinchiusa nella gabbia d’acciaio dell’eterno presente.
Concordo pienamente. È una distruzione portata avanti con molti mezzi e in molte sedi, dall’entertainment ai mass media alla réclame alla scuola, dove sempre meno si insegna la storia e le identità-differenze che questa produce tra popoli e tra classi sociali. Il globalismo finanziario vuole persone omogeneizzate, atomizzate, passivizzate, pienamente intercambiabili. Vuole abolire la pluralità culturale, politica, spirituale. È una sua esigenza connaturale di monopolizzazione della Weltanschauung.
Per contro, lo studio della storia, l’acquisizione di una prospettiva storica, immunizza contro ogni pensiero unico, contro il suo appiattimento sul presente e contro la sua political correctness, perché sviluppa la consapevolezza delle diverse mentalità e concezioni della realtà, della politica, dei valori che si sono succedute nei secoli, e delle loro trasformazioni, nel tempo e nelle varie regioni del mondo. Chi vuole imporre un pensiero unico incapace di pensare diversamente, taglia o snatura questo tipo di insegnamento. Per tutte queste ragioni, esorto allo studio metodico della storia generale, e anche della storia del diritto, dell’economia, della filosofia.
Intervista di Luigi Tedeschi a Marco Della Luna, autore de “Le Chiavi del Potere” (Aurora Boreale 2019, 3a edizione aggiornata e ampliata)
Fonte: https://www.centroitalicum.com/le-chiavi-del-potere/
Commenti
Le Chiavi del Potere — Nessun commento